Finti ecologisti contro il gas. Lo scontro sugli ulivi in Puglia è del tutto pretestuoso

Categoria: Ambiente

La Puglia, con questa protesta contro lo spostamento temporaneo di 211 piante d'olivo, acquisisce il titolo di protagonista della più insulsa, autolesionistica e assurda protesta di questo inizio millennio.

di Domenico Cacopardo, da ItaliaOggi.it, 4.4.2017

L'immagine più scandalosa mostra alcuni bambini pugliesi appoggiati alla parte anteriore di un camion su cui era stato caricato uno degli ulivi, provvisoriamente rimossi, per l'escavazione del tracciato (10 metri di profondità) del gasdotto Azerbagian-Italia. Uno scandalo – peraltro già perpretrato in tanta altre manifestazioni comprese quelle dei docenti e qui lo scandalo è ancora più scandaloso. Un modo come un altro per maleducare i propri figli utilizzandoli nella rivendicazione dei propri interessi, non di quelli collettivi.

La Puglia, con questa protesta contro lo spostamento temporaneo di 211 piante d'olivo, acquisisce il titolo di protagonista della più insulsa, autolesionistica e assurda protesta di questo inizio millennio. Anche se i 'protestanti' si presentano come eroi dell'ambientalismo, nelle loro mani spiccano i segni di una scelta votata al raggiungimento di obbiettivi opposti alla tutela dell'ambiente. Nel contesto, il paradosso è che un magistrato di carriera, Michele Emiliano, sbarcato, dopo 18 anni di servizio, nell'attività politica con l'elezione a sindaco di Bari nel 2003, si sia posto alla testa (o quasi) della contestazione di questo benedetto gasdotto, destinato al trasporto di gas metano, il più pulito dei combustibili in circolazione.

E il paradosso Emiliano è tale in quanto la scelta operata getta una luce sinistra sulla sua personalità professionale e politica, passata e presente, ma anche futura, vista la concreta possibilità che, finito il raid istituzionale ce lo potremmo ritrovare ai vertici di qualche tribunale o di qualche procura. Questo Emiliano che non molto tempo fa ha partecipato in pompa magna alla inaugurazione di un nuovo tronco di condotta dell'Acquedotto pugliese, per il quale sono stati provvisoriamente sradicati 2500 ulivi (poi rimessi a dimora).

Una plateale geometria variabile. Del resto, avendo interpellato due giovani professionisti della zona, trasferitisi al Nord per motivi di lavoro, mi sono sentito rispondere: «Ma lei è sicuro che, poi, rimetteranno gli ulivi a dimora?» e «Intanto stanno costruendo un depuratore fognario che scaricherà a mare» (altra plateale dimostrazione di ignavia: i depuratori debbono scaricare acque scaricabili, cioè pulite, a una adeguata distanza dalla costa).

Il «casus belli» di oggi è presto detto: il gasdotto - ripeto a metano - serve ad alimentare alcune centrali italiane, non ancora Brindisi, i cui due impianti vanno a carbone (il più inquinante) e a petrolio (ricordo en passant che proprio a Brindisi la British Gas aveva in programma la realizzazione di un rigassificatore che avrebbe permesso di utilizzare il gas in forma liquefatta sbarcato da apposite navi gassiere, operazione vanificata dall'opposizione di movimenti locali e della Regione Puglia. Per la cronaca si trattava di un investimento del valore 500 milioni di euro, al netto dei flussi finanziari e dell'occupazione che avrebbe prodotto), attenua la dipendenza italiana dagli aleatori rifornimenti russi, e non comporta un significativo impatto ambientale, visto che viene interrato alla quota di meno 10 metri e che gli ulivi interessati dal percorso vengono sradicati e dopo poche settimane rimessi a dimora.

Le ragioni – dichiarate - della protesta sembrano così inconsistenti da far immaginare il sostegno di interessi riguardanti altre forme combustibili, senza dimenticare lo scempio operato in Puglia con la massiccia realizzazione di impianti fotovoltaici ed eolici. È probabile che ci sia una deriva della protesta messa in campo contro lo sradicamento degli ulivi colpiti da xylella: anche qui un sistema di contrasto pseudo-popolare che ha danneggiato gli stessi produttori pugliesi, il cui olio perde una quota importante della tradizionale affidabilità. Ma questo non è sufficiente per non condannare un metodo di governo personale e personalistico, di tipo popolar-plebiscitario che è il contrario di quando indicato nella Costituzione su cui tutti gli amministratori giurano il giorno in cui prendono servizio.

Frutto avvelenato, questo popolar-plebiscitarismo, di una legge (sui sindaci e sui presidenti di regione) che ha trasformato le istanze locali in principati, tetragoni a qualsiasi tipo di controllo, visto che i consigli comunali e regionali, in caso di dissenso dal sindaco, vengono mandati a casa. Sono le devianze di una Repubblica, la seconda, nella quale i fondamentali della democrazia rappresentativa sono stati ridotti a pallidi simulacri. E ora, con il ritorno alla prima avremo da confrontarci con la somma delle incongruenze, dei difetti, delle immoralità delle due ere repubblicane. Un mix micidiale, vedremo, con buona pace dei nemici della riforma costituzionale cui vanno addebitati senza sconti i prossimi disastri.

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