L’ecologismo è una religione che non ammette apostasia. Il caso Shellenberger

Categoria: Ambiente

Forbes pubblica e poi cancella il suo mea culpa sul panico verde

di Giulio Meotti, 9.7.2020 ilfoglio.it lettura 3’

Roma. “Esiste una religione laica in tutto il mondo che possiamo chiamare ambientalismo, ritiene che spogliare il pianeta con i prodotti della nostra vita lussuosa sia un peccato e che il sentiero della giustizia sia vivere il più frugalmente possibile. L’ambientalismo ha sostituito il socialismo come la principale religione laica. Gran parte del pubblico è arrivato a credere che chiunque sia scettico sui pericoli del riscaldamento globale sia nemico dell’ambiente”. Parole pronunciate dal grande fisico Freeman Dyson, scomparso a febbraio. E non era il solo. Ivar Giaever, premio Nobel per la Fisica, ha detto: “Va bene discutere se la massa del protone cambia nel tempo ma le prove del riscaldamento globale sarebbero incontrovertibili? È una nuova religione”. Ma l’ambientalismo non ammette apostasia.

La povertà sostenibile

Il libro di Shellenberger, “eroe dell’ambiente” di Time, contro la “nuova religione ambientale”

E’ il caso di Michael Shellenberger, un famoso ambientalista e attivista del clima, fondatore e presidente di Environmental Progress, nominato “Eroe dell’Ambiente” dalla rivista Time, chiamato come esperto di energia a testimoniare al Congresso americano e all’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), intervistato dal Foglio lo scorso 29 giugno. In un articolo su Forbes, Shellenberger ha voluto scusarsi, a nome di tutti gli ambientalisti, per l’allarmismo. “Sono un attivista del clima da 20 anni e un ambientalista da 30 e sento l’obbligo di scusarmi per come noi ambientalisti abbiamo fuorviato il pubblico”. A 17 anni, Shellenberger era in Nicaragua per portare solidarietà alla rivoluzione socialista sandinista. A 23 anni era a raccogliere fondi per le cooperative guatemalteche. Poi in Amazzonia a fare ricerche sui piccoli agricoltori. A 26 a denunciare ciò che accade nelle fabbriche della Nike in Asia. Ed è lunga anche la sua militanza ecologista.

Nel suo articolo su Forbes, Shellenberger ha spiegato che l’uomo non sta causando una sesta estinzione di massa, che i roghi sono in calo da anni, che i cambiamenti climatici non stanno rendendo i disastri naturali peggiori, che la quantità di terra che usiamo per la carne si è ridotta di un’area grande come l’Alaska, che le emissioni di CO2 sono in calo nella maggior parte delle nazioni ricche e sono diminuite in Regno Unito, Germania e Francia dalla metà degli anni 70, fra le altre cose. “Fino allo scorso anno, ho evitato di parlare contro l’allarmismo climatico”, ha scritto su Forbes Shellenberger, autore anche di “Apocalypse Never: Why Environmental Alarmism Hurts Us All” per Harper’s Collins (“Mai l’Apocalisse: perché l’allarmismo ambientale fa male a tutti”). “In parte perché ero imbarazzato. Dopo tutto, sono colpevole di allarmismo come qualsiasi altro ambientalista. Per anni ho fatto riferimento ai cambiamenti climatici come a una minaccia ‘esistenziale’ per la civiltà umana e l’ho definita ‘crisi’. Ma soprattutto avevo paura. Sono rimasto in silenzio sulla campagna di disinformazione sul clima perché avevo paura di perdere amici e finanziamenti”. Continua Shellenberger che “il clima d’ansia, depressione e ostilità alla civiltà moderna sono alla base di gran parte dell’allarmismo. I media fanno annunci apocalittici sui cambiamenti climatici dalla fine degli anni 80 e non sembrano disposti a fermarsi. L’ideologia alla base dell’allarmismo sull’ambiente, il maltusianismo, è stata ripetutamente sfatata per 200 anni ma è ancora più potente che mai”.

Il mea culpa di Shellenberger è rimasto su Forbes per due giorni. Poi è stato cancellato. Sull’ultima copertina del settimanale francese Point ci sono i “clown dell’ecologismo”. Non fanno ridere, ma sono molto bravi a censurare ogni punto di vista dissonante.