Oceano di opportunità La scoperta semplice e rivoluzionaria del riso di mare

Categoria: Ambiente

Il celebre chef di Cadice Ángel León, noto per le sue sperimentazioni visionarie ispirate dall’Oceano, ha iniziato a usare la Zostera marina, pianta presente in tutte le coste del mondo

AP Photo/Emilio Morenatti

Dario Ronzoni 22.1.2021 linkiesta.it lettura4’

Il celebre chef di Cadice Ángel León, noto per le sue sperimentazioni visionarie ispirate dall’Oceano, ha iniziato a usare la Zostera marina, pianta presente in tutte le coste del mondo. La sua coltivazione non ha tutti i problemi dell’agricoltura terrestre. Non ci sarebbero pesticidi, né insetti, né fertilizzanti

Di fronte c’è l’Oceano Atlantico. Poco lontano, il mar Mediterraneo. Dall’incontro tra questi due ecosistemi lontani, che mescolano mondi e forme di vita diverse, lo chef spagnolo Ángel León, titolare del più celebre ristorante di Cadice, l’Aponiente, trova la sua ispirazione.

Di solito sono idee originali, visionarie, sperimentali. León è noto come “Chef del mare” perché tutte le sue invenzioni vengono da lì e i piatti che serve non si trovano (davvero) da nessun’altra parte. Ha ricavato una mortadella dalla spigola. Usa la murena per riprodurre la pelle suina (e la sa rendere croccante al punto giusto). Dai mitili ha tirato fuori un sanguinaccio, mentre il nasello, nelle sue mani, si trasforma in un piatto di fettuccine.

Tutte le sue pietanze costituiscono insomma un omaggio al mondo marino, soprattutto quello meno conosciuto. All’Aponiente non ci sono i classici scampi o le aragoste. Piuttosto si troveranno vermi, meduse o erbe marine cucinate come verdure. Ma anche cipolle di palude, e zuccheri di mare.

Dopo un anno e mezzo di sperimentazioni e ricerche, è riuscito a creare il miele marino (con le stesse proprietà di quello terrestre) ricavandolo dalla ruppia marittima, che si raccoglie nei dintorni di Cadice, e che viene servito con l’alga cochayuyo, che cresce nelle acque dell’Oceano Atlantico.

Queste invenzioni, che è solito presentare ai convegni gastronomici annuali come il Madrid Fusion di gennaio, lo hanno reso unico e famoso, procurandogli due stelle Michelin (la prima nel 2010, la seconda quattro anni dopo) e una importante serie di contatti con altre realtà, non solo della ristorazione. L’Aponiente collabora con centri di ricerca, lavora a progetti per la sostenibilità ambientale, organizza eventi con altri chef per trattare il tema degli ecosistemi marini e, lato business, sviluppa anche prodotti da vendere sul mercato, come il bacon di mare (pance di orata e ananas affumicato). Assistere alle presentazioni di Ángel León è diventato una sorta di appuntamento con lo stupore.

L’ultima invenzione di León, però, dal momento che il Madrid Fusion è stato rimandato da gennaio a maggio (causa pandemia) è stata resa nota attraverso questo lungo articolo-ritratto comparso su Time. Una cosa semplice ma dalla portata rivoluzionaria: il riso di mare.

Se si conosce il suo processo creativo, appare quasi logico. León inventa partendo da piatti che esistono già (sulla terra) elaborandone una versione marittima. Le sue, di fatto, sono traduzioni: ha inventato le pere di mare, i pomodori di mare, i carciofi di mare. Perché non il riso? L’illuminazione è stata fulminea, e legata al ricordo di una distesa di erbe, simili a risaie, che circondavano la baia di Cadice.

La Zostera marina è una pianta acquatica (con tanto di radici, foglie, fiori e semi) che somiglia a quella del riso, ma cresce lungo le coste in tutto il mondo. È nota, è comune, ma nessuno o quasi aveva mai pensato di impiegarla come alimento. Ángel León sì e, forte di una ricerca degli anni ’70 che documentava come la Zostera facesse parte della dieta dei Seri, una popolazione messicana, ha cominciato la sperimentazione.

Prima su un campione di 50 chili di grani, raccolti nell’estate 2019 lungo le coste vicino al ristorante. La quantità era più che sufficiente per le analisi di laboratorio e per i primi esperimenti in cucina. «Non è stato semplice. Tantissime cose potevano non andare per il verso giusto», spiega al Time David Chamorro, capo del settore Ricerche e Sviluppo del ristorante.

Invece ha funzionato tutto. La pianta vive più di due anni, cresce in modo esponenziale e presenta un profilo nutrizionale molto abbondante, con tanto di fibre e grassi omega-tre. È senza glutine e, per di più, ha anche un buon sapore, simile a quello della quinoa.

Il suo impiego in cucina avrebbe ricadute enormi. Può essere cucinata come un riso, o schiacciata per farne un olio (che, se lasciato fermentare, dà un tipo di saké). O macinata per ottenere una farina. Ma non solo. La sua coltivazione ridarebbe vitalità a una regione, quella di Cadice, ormai in declino. Se ben condotta, potrebbe rilanciare l’economia, creare nuovi posti di lavoro per i giovani della zona e restituire a Cadice, antico centro portuale in mezzo alle rotte commerciali più battute, quella centralità perduta da secoli.

In più ci sarebbe il versante ambientale. Il potenziale ecologico delle piante marine e delle alghe è sempre sottostimato, ma è uno dei fattori più importanti per la cattura dell’anidride carbonica. La loro presenza mantiene pulito l’Oceano, fornisce un riparo a moltissime specie marine, costituisce di fatto un ecosistema e blocca l’erosione delle coste. Non è un caso che, almeno dall’inizio del nuovo millennio, in tutto il mondo siano stati finanziati progetti per reintrodurre piante e alghe marine nei loro habitat naturali.

L’idea di León andrebbe in questa direzione, con in più il vantaggio di non presentare tutti i problemi dell’agricoltura terrestre. Non ci sarebbero pesticidi, né insetti, né fertilizzanti. Anzi, crescendo in mare, non ci sarebbe nemmeno bisogno di impiegare acqua per la coltivazione. Riduce insomma l’impatto ambientale.

Nel corso del tempo, poi si potrebbero selezionare i tipi di grani migliori per nutrimento e sapore, senza per questo alterare gli equilibri ecologici, dal momento che la pianta proviene già dalla zona di Cadice.

Sarebbe una rivoluzione. Certo, ci sono delle difficoltà: piante come quelle sono delicate, richiedono condizioni di luce, temperatura e corrente molto precise. León lo sa, ma è anche convinto che la zona dell’estuario di Cadice può essere tenuta sotto controllo da una squadra di scienziati e coltivatori. E genetisti: per arrivare al livello del riso, che «ha 7.000 anni di evoluzione di vantaggio», serve saltare qualche tappa. Anche con l’idea di creare delle ibridazioni con le lenticchie, il frumento e la lattuga.

Quello che ne verrà fuori potrebbe essere davvero il cibo del futuro. Una cucina nuova, d’avanguardia, unica. Ma anche sostenibile, nutriente e buona. È già una sperimentazione: più che una speranza ma non ancora una promessa. Ma da León ci si è abituati ad aspettarsi di tutto.