“600 litri di acqua per fare una bottiglia di vino: agire sulla sostenibilità è nostro dovere”. Al microfono con Giorgio Cecchetto

Categoria: Ambiente

“Studi scientifici dimostrano che servono 600 litri di acqua per fare una bottiglia di vino. Il nostro margine di miglioramento riguarda almeno 300-350 litri: capite la differenza che possiamo fare attraverso azioni concrete è abissale”.

ROSSANA SANTOLIN2.11.2022 Qdpnews.it lettura2’

Giorgio Cecchetto fonda la sua azienda vinicola nel 1985 a Tezze di Piave scegliendo fin da subito di focalizzarsi su coltivazioni alternative alla glera, in controtendenza rispetto alla maggioranza dei produttori della Marca.

Troppo preziosi per non essere coltivati, a suo avviso, quei terreni di natura alluvionale lambiti dal Piave dove fin dai tempi della Serenissima proliferava la vite di Raboso.

“In un’area quasi completamente “prosecchizzata” coltivare il Raboso del Piave rimane un’attività di nicchia” spiega Cecchetto. “Eppure fino a sessanta, settant’anni fa questa costituiva il 40-50% della produzione di uva, mentre oggi rappresenta appena il 2-3%: è un presidio, una varietà quasi in via d’estinzione nonostante i suoi 400 anni di storia”. Per il titolare dell’azienda di Tezze, preservare e “donare” alle generazioni future questo vitigno è diventato “un atto dovuto nei confronti di chi ci ha preceduto. Certo – prosegue – non è un grande business se comparato al Prosecco, ma a parere mio la lungimiranza dei produttori si vede anche dal loro impegno nel preservare gli antichi vitigni autoctoni“. Oggi l’azienda di Giorgio Cecchetto, impegna 32 collaboratori per un totale di 224 ettari vitati coltivati e un fatturato totale di 10,9 milioni di euro.

Ad affiancare Giorgio in azienda c’è la figlia Sara Cecchetto, nel ruolo di Responsabile Sostenibilità, alla quale va il merito di aver spianato la strada per fare dell’impresa da famiglia una delle prime realtà vitivinicole a presentare il Bilancio di Sostenibilità. Questa iniziativa le è valsa l’inserimento nella lista delle 50 imprenditrici italiane più innovative secondo la classifica delle FAB50 stilata da GammaDonna, in occasione del World Entrepreneurs Day 2022 (qui l’articolo). Nel 2017 Sara Cecchetto ha dato vita al progetto Climate Positive 2026 che punta a portare l’azienda entro il 2026 a trattenere più CO2 rispetto a quella che emette.

“Diventare climate positive è un processo che coinvolge tutta la filiera, dalla vigna all’etichetta” commenta il titolare. “Ci siamo chiesti quanto impattiamo sull’ambiente per produrre una singola bottiglia, e come intervenire per diminuire e compensare questo impatto”. Il consumo di risorse idriche e l’emissione di anidride carbonica sono gli aspetti principali da migliorare in campo vinicolo. “Studi scientifici dimostrano che servono 600 litri di acqua per fare una bottiglia di vino. Il nostro margine di miglioramento riguarda almeno 300-350 litri: capite la differenza che possiamo fare attraverso azioni concrete è abissale”.

Oltre alla riduzione del consumo idrico in campagna e in cantina, Cecchetto negli anni ha implementato l’utilizzo di energia da fonti rinnovabili, l’impiego di materiale riciclato o certificato FSC per il packaging, l’acquisto di attrezzature poco impattanti sull’ecosistema e la messa in opera di iniziative di riforestazione sul territorio. È il caso del bosco di proprietà a Maser, sulle colline asolane, dove sono stati piantumati circa 1000 alberi con il coinvolgimento degli alunni della scuola media locale.

All’attenzione ambientale dell’azienda si aggiunge l’impegno sociale che, fra le tante iniziative, si esprime da 17 anni in una vendemmia organizzata assieme a AIPD – Associazione Italiana Persone Down, occasione in cui i ragazzi diventano “vignaioli per un giorno”, lasciando la loro impronta su 1000 bottiglie con etichette da loro personalizzate (qui l’articolo). “Penso che noi imprenditori non siamo solo “prenditori”, ma dobbiamo anche saper ritornare qualcosa a questo territorio che ci ha dato e ci sta dando moltissimo, e con territorio intendo tanto il suolo dove coltiviamo, quanto la comunità a cui apparteniamo”.

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