Un'Expo troppo Slow food non nutre il pianeta

Categoria: Ambiente

Perché è un problema se a Milano spopola un'impostazione anti industriale e anti moderna sull'agricoltura. Meglio terra-terra che "Terra Viva"

di Redazione | 05 Maggio 2015 ore 14:18 Foglio

La cerimonia di inaugurazione dell'Expo di Milano (foto LaPresse)

La prima Expo universale è stata la Great Exhibition del 1851 di Londra, un evento che celebrava l’entusiasmo per l’innovazione tecnologica e l’apertura dei mercati all’indomani della storica vittoria contro le Corn Laws, le leggi protezionistiche sulle importazioni agricole. A tutti sembrava chiaro che l’innovazione, la rivoluzione industriale e la libertà di scambiare merci avrebbero migliorato le condizioni della popolazione globale.

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Dopo oltre 150 anni con l’Expo di Milano si batte troppo spesso un’altra strada e si pensa di “nutrire il pianeta” con massicce dosi di protezionismo e consumo locale, a chilometro zero possibilmente. Questa impostazione anti-industriale e anti-moderna pervade la Carta di Milano, il documento ufficiale di Expo, ma è ancora più visibile nel manifesto “Terra Viva” elaborato dalla guru anti Organismi geneticamente modificati (Ogm) e ambasciatrice di Expo Vandana Shiva e presentato insieme a don Ciotti e al ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina.

Il manifesto della Shiva è una condanna di tutto ciò che è moderno e con moderno non si pensi solo agli Ogm. Si parte dalle enclosures del XVII secolo, quindi dalla proprietà privata delle terre – è quella l’origine di tutti i mali – poi piovono danni su danni: Rivoluzione industriale, libero mercato, nuove scoperte nella chimica, Rivoluzione verde e anche il Piano Marshall. In pratica tutto ciò che permette oggi di sfamare 7 miliardi di persone nel mondo, che ha aumentato la produttività, reso il cibo migliore e più economico, sconfitto malattie e sottratto miliardi di individui alla schiavitù della terra. D'altronde per Carlin Petrini, di Slow Food, "questo La soluzione secondo la Shiva sarebbe una riscoperta dell’agricoltura di sussistenza, quando c’erano terra e cibo in abbondanza per tutti. Che poi è quel mondo in cui si moriva a 30 anni e un terzo della popolazione pativa la fame, che per fortuna ci siamo lasciati alle spalle. Forse è il caso di farla finita con i manifesti à la “Terra Viva” e iniziare a fare discorsi terra terra perché, come ha scritto Alberto Mingardi sul Wall Street Journal, sarà difficile nutrire il pianeta con le favole di un passato romanzato che non è mai esistito.