Charlie, storia di una bimba affetta dalla sua stessa malattia

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A pochi mesi la scoperta della sindrome di Leigh. Che l'ha costretta a un calvario come il bambino inglese. La madre Cristina a Lettera43.it: «Nessuno può impedire a un genitore di tenere in vita il proprio figlio».

LORENZO MANTELLI, 30.6.2017 da www.linkiesta.it

Elena ha sette anni. Dall'età di cinque mesi le è stata diagnosticata la sindrome di Leigh, una malattia mitocondriale estremamente invalidante, dall'origine comune alla patologia per la quale la Corte europea dei diritti umani ha scelto, prima di tornare parzialmente sui suoi passi, di staccare la spina al piccolo Charlie Gard. Non riesce a stare seduta e ad afferrare gli oggetti. Molto spesso non mangia e non è in grado di muovere gambe e braccia. I suoi genitori faticano a comprendere le parole che cerca di pronunciare. Ma nemmeno per un istante hanno pensato di lasciarla andare. O, meglio, per un breve istante forse sì. È successo poco prima dei tre anni, quando Cristina, la madre di Elena, è stata costretta a fare i conti col precipitare della situazione. «Smise di mangiare e, poi, di deglutire. Il respiro si fece via via più flebile fin quando non smise di reagire pure alla ventilazione non invasiva che le avevavo praticato in ospedale». Solo a quel punto, racconta a Lettera43.it, ha chiesto ai medici di staccare il respiratore. «Non per farla morire», dice, ma «per lasciare che le cose seguissero il loro corso».

Charlie: medici, più tempo a genitori

DOMANDA. Cos'è successo dopo?

RISPOSTA. Poco a poco Elena ha ripreso a respirare da sola. Le abbiamo riattaccato il sondino nasogastrico e il saturimetro. E oggi mia figlia è ancora qui con me.

D. Com'eravate venuti a conoscenza della malattia?

R. Aveva solo pochi mesi e non piangeva mai. Io credevo fosse soltanto una brava bambina. Poi smise di prendere il latte e una crisi epilettica portò alla luce il suo problema. Dopo un arresto respiratorio venne intubata e passò 15 giorni in rianimazione. Lì è cominciata la nostra odissea.

D. Esiste una sola possibilità che un giorno possa guarire dalla sua patologia?

R. Nessuna, non esiste medicina che possa curarla. Ma secondo le aspettative di vita previste per casi simili lo scoglio più duro per mia figlia era superare i tre anni di vita. E invece si trova ancora con me. Vive a casa mia, frequenta l'asilo. Certo, le serve assistenza costante, ma è viva.

D. Quali sono i sintomi della sindrome che l'ha colpita?

R. Mia figlia è affetta da encefalopatia e miopatia. Non soffre di atroci dolori, ma di un progressivo indebolimento degli organi vitali. Per questo la sua esistenza non sarà mai come quella degli altri.

D. C'è chi pensa che staccare la spina a un bambino destinato a una vita simile sia la scelta più giusta.

R. Lo può dire chi non ha vissuto un 'esperienza del genere in prima persona. Ogni mutazione genetica fa storia a sé e il decorso della malattia è differente per ciascun paziente. E poi, come si può misurare la qualità della vita di un bambino di pochi mesi? Siamo sicuri che Charlie soffra dolori che non gli consentano di continuare a vivere?

D. Diversi medici sostengono che le terapie a cui i genitori vorrebbero fosse sottoposto il bambino negli Stati Uniti non siano efficaci.

R. Di certo c'è solo che non sono controproducenti e non arrecherebbero alcun danno al bambino. I costi non graverebbero nemmeno sulla spesa pubblica, visti i fondi raccolti dalla famiglia.

D. Lei fa parte dell'associazione Mitocon, nato nel 2007, recita il manifesto, per costituire un punto di aggregazione e sostegno per i malati e le loro famiglie.

R. Sì, perché siamo in tanti ad aver scelto di portare questa croce: solo in Italia sono tra 10 e 15 mila le persone affette da patologie mitocondriali, più o meno gravi. E, una volta di più, va detto che ogni mutazione genetica è diversa dalle altre. Per questo non si può lasciare nulla d'intentato.

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