Non ci possono essere diritti se mancano i doveri

Categoria: Cultura

Un partito che parli di doveri non si trova più. Anche perché avrebbe difficoltà a raccogliere qualche voto.

di Gianfranco Morra Alessandro Barbano, 18.4.2018 www.italiaoggi.it

Nella nostra società liquida e narcisista il diritto viene inteso quasi sempre come “fare i propri comodi”

Democrazia? Churchill diceva che è un disastro, ma fra tutti i regimi politici è il meno peggio degli altri. Oggi, purtroppo, zoppica non poco e c'è già chi parla di epoca postdemocratica. Fra le opere che aiutano a capire perché la democrazia oggi non funziona più come nel passato, è appena comparso un utile libro. Lo ha scritto Alessandro Barbano, un giornalista che attualmente dirige Il Mattino di Napoli: Troppi diritti. L'Italia tradita dalla libertà (Mondadori, pp. 192, euro 18).

Per Barbano la ragione principale della crisi della democrazia è dunque nella ipertrofia dei diritti: «La malattia dei diritti spiega il declino italiano». Ma come è possibile? La democrazia e suo padre il liberalismo sono nati come ideologie della libertà. In nome di quei diritti naturali, che precedono il contratto sociale. Essi non sono prodotti dallo Stato, ma appartengono ad ogni uomo in quanto creatura ragionevole: «tutti gli uomini sono stati creati uguali, dotati dal loro Creatore di alcuni diritti inalienabili: la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità» (Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d'America, 1776).

Ma i diritti non possono stare senza i doveri. Conclusasi la rivoluzione francese nel dispotismo, i grandi filosofi politici dell'Ottocento hanno ritenuto che i diritti andassero inseriti dentro la cornice dei «doveri dell'uomo» (verso se stessi, verso la famiglia, verso la patria, verso l'umanità). Senza un riferimento ai doveri i diritti divengono privilegi e sopraffazione. Ogni diritto non è mai assoluto, esso trae i suoi limiti dal dovere che lo fonda e lo orienta.

Gli ultimi secoli della modernità hanno capovolto il rapporto, i diritti precedono i doveri. Nella nostra Costituzione la prima parte è intitolata: «Diritti e doveri dei cittadini». Barbano mostra che l'eccesso di diritti non produce unità, ma separazione. Anche nell'Unione Europa, dove si è preteso che i diritti concessi fossero accolti bene da tutte le nazioni, mentre non è stato così: «L'idea di unificare l'Europa in nome dei diritti ci ha consegnato un'Europa irrimediabilmente divisa».

Staccati dai doveri, i diritti si degradano a meschino interesse. Come avviene nella democrazia di massa. I cittadini non chiedono più libertà, un concetto morale che, distaccato dal dovere, diviene semplice arbitrio. Essi chiedono sempre nuovi diritti di assistenza e consumi. Proprio mentre oggi la tecnologia rende possibili interventi un tempo neppure pensabili. Ma non tutto ciò che è possibile è anche lecito. Fra le ragioni che hanno dato 11 milioni di voti al M5S v'è certamente la promessa del «reddito di cittadinanza», tanto è vero che subito, senza che ancora sia stata votata la legge in merito, decine di migliaia di persone, soprattutto al Sud, hanno subito cercato di farne richiesta. Sappiamo tutti che la democrazia oggi è assistenziale (Welfare) e che fra i suoi compiti ha anche quello di limitare la povertà dei cittadini.

Ma il reddito di cittadinanza, a parte la sua difficile compatibilità con il deficit pubblico, anziché aiutare la crescita del lavoro, aumenterebbe i non occupati. Barbano ha capito che l'errore basilare è quello di separare e anche contrapporre meritocrazia e diritti. Al punto che non pochi (avveniva già nel Sessantotto) considerano il merito come un'offesa alla democrazia e all'eguaglianza.

Basterebbe pensare alla scuola, definita «di tutti. Significa che tutti debbono promossi e non c'è differenza tra chi studia e chi non lo fa? Non è così, la Costituzione dice «aperta a tutti» e specifica che solo «i capaci e i meritevoli hanno diritto di raggiungere i gradi più alti» (art. 34). I partiti invece appoggiano un «dirittismo» monomaniaco, che eleva a diritto richieste individualistiche non di rado in contrasto con la natura e con la ragione, inserendole nella propaganda elettorale e promettendo la soddisfazione di sempre nuovi diritti.

Un partito che parli di doveri non si trova più. Anche perché avrebbe difficoltà a raccogliere qualche voto. Nella nostra società «liquida» e «narcisista» il diritto viene inteso quasi sempre come «fare i propri comodi». Vi ha contribuito l'espulsione dalla democrazia dei valori religiosi e dei doveri morali, sia di quelli teologici della prima modernità sia di quelli laici alla Kant o alla Mazzini, che hanno ispirato la convivenza sociale dell'Ottocento.

I grandi studiosi della democrazia avevano capito benissimo che la secolarizzazione avrebbe cancellato insieme coi doveri ogni rispetto dell'altro e condotto ad una dittatura dei diritti soggettivi: Tocqueville riteneva che «senza fede religiosa, l'uomo può solo servire»; Croce era convinto che «viviamo nell'epoca dell'anti-Cristo»; per Kolakovsky, marxista polacco, «la scristianizzazione ha fatto rinascere il diavolo». Senza imperativi religiosi i diritti vengono arbitrariamente enfatizzati e i doveri si estinguono.

Barbano non offre istruzioni per l'uso che consentano un recupero di ciò che la paranoia dei diritti ha finito per distruggere. Ma il lettore capisce che la via regia per risorgere non è il rifiuto dei diritti, ma la loro subalternazione ai doveri, da cui nasce la «responsabilità». Da re-spondeo: ho promesso e sono tenuto a dare una risposta.

Come insegnava Simone Weil, non solo i diritti richiedono i doveri, ma questi sono primari rispetto a quelli. Lo mostra il sottotitolo del suo libro sul Radicamento: «Preludio a una dichiarazione dei doveri verso l'essere umano». E lo ha sintetizzato nella prima frase dell'opera, che ne riassume il senso: «La nozione di obbligo sovrasta quella di diritto, che le è relativa e subordinata. Un diritto non vale per se stesso, ma solo per l'obbligazione alla quale corrisponde».

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