Perché l'Asset building può fare aumentare i laureati

Categoria: Cultura

I dati Istat e Ocse parlano chiaro: l'Italia ha ancora pochi dottori. E l'ascensore sociale è bloccato. Con il risparmio integrato si può dare una mano alle famiglie in difficoltà. Ecco cos'è.

CARLO TERZANO 11.9.2018 da www.lettera43.it

L'ascensore sociale, in Italia, è ancora bloccato tra un piano e l'altro. Per le famiglie a basso reddito è molto difficile affrontare il costo dell’istruzione universitaria e quindi garantire ai propri figli l'accesso a professioni più qualificate e meglio retribuite. Nel 2017, secondo le stime Istat, solo il 18,7% degli italiani tra i 25 e i 64 anni aveva concluso con successo l’università, contro una media europea del 31,4%. Appena poco più di un quarto della popolazione giovanile (26,9%) oggi ha in mano una pergamena, percentuale che scende al 21,6% nel Mezzogiorno. Nel resto dell'Unione europea si viaggia al ritmo del 39,9%. Fosche anche le percentuali elaborate dall'Ocse nell'ultima edizione di Education at a Glance 2018. Nel rapporto viene sottolineata la discriminazione sulla base del Paese di nascita: a parità di formazione, lo scorso anno i laureati nati all'estero hanno guadagnato il 44% in meno degli autoctoni. Questa mancanza di opportunità educative genera disuguaglianze a lungo termine. Per fermare il trend sembra particolarmente efficace l’asset-building, sperimentato nelle periferie torinesi. Ma cos’è e come funziona il "risparmio integrato"? Se lo è domandato l'Ufficio Valutazione Impatto del Senato (Uvi) nel suo ultimo report, Testing a Social Innovation in Financial Aid for Low-Income Students.

Report leggibile su www.lettera43

LA LAUREA HA ANCORA UN PESO

Tra gli italiani che hanno abbandonato precocemente gli studi, nel 2017 ha lavorato meno di un giovane su tre (31,5%), quota stabile negli ultimi tre anni dopo il drastico calo conseguente alla crisi (nel 2008 lavorava un giovane su due). Tra i giovani che hanno concluso il percorso di istruzione e formazione da non più di tre anni, il tasso di occupazione nel 2017 è stimato al 48,4% per i diplomati (74,1% la media europea) e al 62,7% per chi ha un titolo di studio universitario (84,9% la media Ue). Questo significa che il fatidico "pezzo di carta" ha ancora un peso persino nell'asfittico mondo del lavoro italiano. Ma ha anche un costo.

DAI 2.500 AI 3 MILA EURO L'ANNO PER IL "PEZZO DI CARTA"

Le tasse universitarie in Italia sono irrisorie rispetto a quelle di altri Paesi, come per esempio gli Usa (si viaggia sui 30 mila dollari l'anno). L’importo medio è infatti di 1.000 euro l’anno. Considerando però altre spese come libri, trasporti, affitto, software e accesso a internet (e senza contare i redditi da lavoro perduti), il costo medio reale stimato sale tra i 2.500 e i 3.000 euro l’anno. Un importo che non può essere affrontato da famiglie in gravi difficoltà economiche. E probabilmente si tratta di stime a ribasso. Il principale programma nazionale di sostegno economico agli studenti è il Diritto allo studio, cofinanziato dalle Regioni: mira alla copertura dei costi diretti, e gli studenti possono accedervi in base ai redditi familiari e alla performance scolastica. A questo si aggiungono alcuni programmi minori. «Si tratta però», annota l'Uvi, «di interventi non sistematici e distribuiti in modo non omogeneo sul territorio nazionale».

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Il grafico sui laureati in Italia e in Europa.in www.lettera43.it

Solitamente sono tre gli strumenti utilizzati dai governi al fine di garantire il diritto allo studio: sottoforma di aiuti economici come borse di studio, donazioni o sgravi fiscali basati sulle condizioni economiche o sulla performance universitaria; di garanzie agli studenti per accedere a prestiti a tassi agevolati e, infine, agire a monte, finanziando direttamente le università pubbliche in modo da diminuire le rette a carico delle famiglie. Poi c'è il risparmio integrato, o asset-building ("costruzione di un patrimonio"). È una policy quasi pedagogica in cui si interviene senza limitarsi a elargire somme di denaro in modo "casuale": il sostentamento delle famiglie a basso reddito passa infatti attraverso un meccanismo che le incoraggia a risparmiare e parte di quanto messo da parte viene integrato da donazioni private e vincolato all’istruzione dei figli.

L'ESPERIMENTO DI TORINO

La formula è stata sperimentata in provincia di Torino tra il 2014 e il 2017 dall’Ufficio Pio della Compagnia San Paolo, con il nome di Percorsi ACHAB (Affording College with the Help of Asset Building). Secondo i dati del censimento Istat del 2011, nelle aree periferiche e disagiate del capoluogo piemontese la percentuale di laureati si attesta intorno al 3,9%, mentre nelle zone del centro-città è pari al 30%. A ogni famiglia ammessa al programma è stato aperto un libretto di risparmio su cui versare - pena l’uscita immediata dal ciclo di aiuti - dai 5 ai 50 euro al mese per sei anni consecutivi. Massimo deposito possibile: 2.000 euro. Alla cifra risparmiata, l’Ufficio Pio ha aggiunto una somma pari a 2 volte il deposito se i risparmi erano stati spesi nel corso della scuola superiore, e a 4 volte, con un tetto di 8.000 euro, in caso di iscrizione all’università: con 10.000 euro è stato possibile coprire, per le famiglie soccorse, le spese per una laurea triennale.

I MIGLIORI RISULTATI NEGLI ISTITUTI PROFESSIONALI

Il progetto Percorsi Achab presenta costi di struttura contenuti: è gestito da due operatrici (di cui una lavora part-time) in modo informatizzato e richiede un importo annuo di 200 euro a studente. Per quanto riguarda i risultati riportati dall'Uvi, la valutazione di impatto - condotta verificando i differenziali tra i soggetti trattati e non trattati - mostra che c’è stato un aumento nelle iscrizioni all’università dell'8%. Tra i beneficiari, la probabilità di accedere a percorsi accademici è salita del 12%. Per gli studenti degli istituti professionali l’aumento delle probabilità è stato ancora superiore: 17%. L’evidenza raccolta suggerisce di concentrare le risorse proprio sugli studenti delle scuole professionali, perché qui il programma ha il miglior rapporto costi/benefici. Primo, perché l’impatto è più evidente. Secondo, perché il cosiddetto “peso morto” (cioè la quota di coloro che sarebbero andati all’università anche in assenza di incentivi) è il più basso: il 44,1%. Tra i liceali, infatti, la percentuale di iscritti “a prescindere” arriva al 77%.

L'OBIETTIVO UE: 40% DI LAUREATI TRA I 30 E I 34 ANNI

«L'Asset building», scrive l'Uvi, «si è confermato, anche in Italia, un meccanismo efficace – e con minimi costi amministrativi - per sostenere l’accesso all’università degli studenti provenienti da famiglie a basso reddito: i risultati sperimentali dimostrano una crescita delle iscrizioni agli atenei e un impatto positivo sulla performance accademica dei ragazzi che hanno aderito al programma». Soprattutto si sottolinea che «gli effetti positivi sono significativamente maggiori per gli studenti delle scuole professionali» e questo è un dato importante in quanto «L'obiettivo Ue di arrivare a un 40% di laureati tra i 30 e i 34 anni non potrà mai essere raggiunto, in Italia, senza il coinvolgimento di un cospicuo numero di studenti delle scuole professionali».