Il problema della Scala? Non sono i Sauditi, ma le poltrone vuote

Categoria: Cultura

Dal 2017 al 2018 gli incassi di biglietteria sono scesi da 39 a 35 milioni, nonostante l’aumento delle recite.

Lidia Baratta14.3.2019 www.linkiesta.it

Per il Fidelio di Beethoven, ci sono stati circa 700 posti vuoti di media a recita, con una punta di quasi mille poltrone libere nell’ultima serata. Le strategie di Pereira non sono servite

Incassi di biglietteria in rosso, poltrone vuote e abbonamenti in picchiata. C’è chi racconta che un noto maestro, entrando in buca al Teatro alla Scala e girandosi verso la sala mezza deserta, abbia accennato a una bestemmia in russo. Perché il problema principale del celebre teatro milanese non sono certo le polemiche sull’eventuale ingresso dei sauditi nella fondazione lirico-sinfonica. Il problema ormai cronico sono i biglietti invenduti. Nei giorni in cui è già partito il totonomine per la successione del sovrintendente e direttore artistico Alexander Pereira, si avvicina anche la data del prossimo cda (18 marzo), e già si sa che l’approvazione del bilancio quest’anno slitterà ad aprile. Ma le anticipazioni sui biglietti staccati l’anno scorso preoccupano e non poco, con gli incassi della biglietteria passati da 39 a 35 milioni di euro, 2 milioni in meno degli obiettivi di budget, nonostante l’aumento delle alzate di sipario. La Scala continua sì a macinare recite e a coinvolgere sponsor privati, distinguendosi per i suoi conti nel panorama delle malandate fondazioni italiane, ma soffre di una carenza di appeal. E di pubblico, appunto. Cosa di non poco conto per una eccellenza internazionale che, con la pancia piena di finanziamenti e la sala mezza vuota, non può più sopravvivere.

Nella scorsa stagione si contano d’altronde diversi flop. Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi, diretta dal maestro Myung-Whun Chung con Leo Nucci nella parte di Simone, ha avuto una media di più di 300 posti vuoti a sera, non raggiungendo l’obiettivo economico previsionale. Per il Fidelio di Beethoven, diretto sempre da Chung, ci sono stati circa 700 posti vuoti di media a recita, con una punta di quasi mille poltrone libere in occasione dell’ultima rappresentazione. Il tutto conteggiando tra i posti venduti anche i biglietti omaggio e le altre forme di riempimento a cui di solito il teatro ricorre, come la presenza degli allievi dell’Accademia. Chiamati per riempire i posti persino alle prime. Con perdite economiche notevoli, considerando che a restare invenduti sono i biglietti più cari, quelli della platea e dei primi posti di palco (da 150 a 250 euro più prevendita), i più visibili dal pubblico, artisti e direttori. Che mal digeriscono, si sa, di esibirsi davanti alle poltrone vuote.

 

Persino lo storico zoccolo duro della Scala, il bacino di “privilegiati” degli abbonati Opera, è ormai in picchiata. Dai 5.900 del 2008 si è passati ai circa 3mila della stagione 2017/2018, con un ulteriore calo di qualche centinaio di abbonati in quella in corso. Il trend negativo, d’altronde, è stato ammesso dallo stesso Pereira. Il sovrintendente ha cercato di tamponare le perdite, introducendo un nuovo abbonamento “prime”, che però non ha sortito l’effetto desiderato: il risultato è stato che i più venduti sono stati i biglietti delle gallerie, i più economici, sottraendoli di fatto alla libera vendita. E non va meglio neppure sul fronte degli abbonamenti aziendali (corporate) – che oltre al costo dell’abbonamento prevedono il versamento di una quota annuale di 15mila euro – arrivati quest’anno a meno di 60. Più che dimezzati rispetto ai tempi d’oro.

La Scala non buca più, per usare un’espressione gergale da palcoscenico. Né il Servizio di promozione culturale del teatro, che dovrebbe coinvolgere scuole, giovani e anziani, sembra avere più la missione sociale e culturale sperata. E proprio mentre sotto la Madonnina i turisti crescono, la biglietteria di piazza della Scala soffre. Qui non siamo a Salisburgo, e in pochi atterrano a Milano solo per vedere uno spettacolo alla Scala.

Proprio mentre a Milano i turisti crescono, la biglietteria di piazza della Scala soffre. Qui non siamo a Salisburgo, e in pochi atterrano a Milano solo per vedere uno spettacolo alla Scala

Di certo non ha aiutato a invertire la tendenza negativa la lotta al bagarinaggio che il teatro ha avviato nel 2017, arrivando a licenziare tre addetti alla biglietteria – di cui uno marito dell’ex responsabile della biglietteria – accusati di aver ceduto blocchi di biglietti al di fuori dei canali ufficiali (alcuni biglietti sarebbero stati intestati ai giocatori del Milan, senza che loro li avessero mai comprati). Una settimana dopo il primo licenziamento, il teatro alla fine ha emanato per la prima volta un regolamento di biglietteria, con nuove regole stringenti sulla vendita al pubblico.

Le attività dei dipendenti della biglietteria fino ad allora non erano regolamentate, se non per alcuni settori. E negli anni sulla circolazione interna dei biglietti si è chiuso più di un occhio. Con accrediti stampa ceduti, oltre che ai giornalisti, anche a persone che di mestiere fanno tutt’altro (con tanto di foto social a documentarlo), e la prassi collaudata dei biglietti scontati venduti internamente ai dipendenti (una convenzione tra teatro e dipendenti è ancora in attesa di firma). Tant’è che come effetto immediato il nuovo regolamento ha azzerato di fatto le vendite “interne” ai dipendenti. E qualche lamentela è arrivata pure da parte del pubblico per l’introduzione della registrazione obbligatoria e la richiesta di dati sensibili come il codice fiscale. In rivolta anche i loggionisti, che hanno contestato i nuovi sistemi di vendita in biglietteria. Quest’ultima, gestita da una nuova responsabile scelta dalla direzione per “fare pulizia”, è stata pure fatta traslocare dal mezzanino della metro Duomo (dove si trovava dal 2005) per tornare nuovamente in teatro ed essere tenuta maggiormente sotto controllo.

Un gesto simbolico, ricordato a più riprese dalla direzione, che rivela però le tensioni interne a uno dei teatri più famosi al mondo. Nell’ultimo anno, in effetti, nelle stanze del Piermarini è successo di tutto. Tra i licenziamenti, gli scontri con il direttore del personale, le dimissioni del vicedirettore e lo spostamento della direttrice, sostituita poi da Manuela Fraschetti, assunta senza regolare concorso – come ha fatto subito notare la Cgil. Con l’aggiunta, dicono i più informati, di un clima non proprio amichevole tra Pereira e la direttrice generale Maria Di Freda che non sarebbe d’aiuto a risollevare le sorti della Scala e della emorragia di pubblico.

Pereira e il suo staff si sono cimentati in varie strategie per far crescere il numero di biglietti staccati, ma evidentemente nessuna si è rivelata quella giusta. In primis, è aumentato ancora il numero delle recite, con l’aggiunta di vari spettacoli destinati ai bambini e dieci recite d’opera in più previste solo nel 2019. Una soluzione a cui ricorrono tutte le fondazioni per tamponare la perdita di pubblico, senza considerare però che per ogni alzata di sipario aumentano i costi ma non è detto che crescano i ricavi. Perché spesso a esser più venduti sono i biglietti più economici delle gallerie, non certo la platea. E con gli sconti introdotti, come ScalAperta, il rischio è di avere l’effetto boomerang, mostrando al pubblico la disponibilità dei posti a teatro e rendendo di fatto meno appetibili e convenienti i costosi abbonamenti con diritto di prelazione. A tariffa piena, e data bloccata.

Ma se il pubblico è sempre meno attratto dal prestigioso brand della Scala, lo stesso non accade con gli sponsor. Che ancora si mettono in fila per poter mettere il proprio marchio sotto quello del celebre teatro. Tra gli ultimi arrivati nel 2018, c’è il colosso delle assicurazioni Allianz, entrato tra i fondatori permanenti garantendo 6 milioni in cinque anni. E Bmw, già partner del teatro, risalito tra i fondatori sostenitori. I soldi, insomma, non sarebbero un problema, almeno fino a quando gli sponsor riterranno appetibile il brand. Quello che sta perdendo La Scala, però, è il pubblico. Con gli spettatori fedeli che hanno dovuto rinunciare pure allo storico ristorante e bar Il Marchesino, rappresentante dell’eredità culinaria lasciata a Milano dallo chef Gualtiero Marchesi, chiuso da tempo per rinnovo locali. Sulla saracinesca è apparso da poco un cartello che recita “Reopening Soon”. Ma la riapertura è già stata promessa e rinviata più volte. E tra gli affitti e le percentuali sugli incassi, sono altre perdite da mettere a bilancio.