LETTERE RUBATE. Le interviste di Oriana Fallaci

Categoria: Cultura

Incontri e scontri memorabili che insegnano come si combatte

di Annalena Benini 25.5. 2019 www.ilfoglio.it

Le interviste di Oriana Fallaci

Perché, fra gli antipatici, non mi ci sono messa anch’io? Non mi ci sono messa perché non sono celebre e di conseguenza sono simpatica. Rompo le scatole, è vero: ma non le rompo facendo parlare di me, dei miei amori, delle mie corride, delle mie poesie, dei miei gol, della mia musica, dei miei comizi, dei miei film, dei miei miliardi, della mia miseria. Le rompo raccontando che le rompono gli altri: come risulta da queste interviste.

Oriana Fallaci, “Gli antipatici”

(Rizzoli Bur, prefazione di Laura Laurenzi)

Questa raccolta di diciotto interviste uscite sull’Espresso (e poi ampliate per il libro), è stata pubblicata per la prima volta nel 1964, quando Oriana Fallaci aveva poco più di quarant’anni ed era già Oriana Fallaci. Ci sono, fra gli altri, gli incontri con Ingrid Bergman, Federico Fellini, Nilde Iotti, Natalia Ginzburg, Alfred Hitchcock (“Il signor Castità”, lo chiama), Anna Magnani, Salvatore Quasimodo, Porfirio Rubirosa e sono naturalmente, essendo di Oriana Fallaci, molto più che interviste. In certi casi sono lotte, colluttazioni, scontri, e sempre sono grandiosi ritratti, indispensabili per imparare a fare domande, utilissimi per soddisfare curiosità e per immaginarsi la scena, i litigi, le invenzioni, lo sgomento degli intervistati di fronte all’intervistatrice.

Dice che non si è molto divertita, Oriana: “Se far parlare la gente nota è snervante, farla parlare davanti a una macchina che registra ogni pausa o sospiro è nel cinquanta per cento dei casi drammatico”. E allora ha aggiunto alle interviste registrate le sue personali impressioni, ha costruito delle prefazioni, sicura che faranno infuriare. Racconta che la prima volta in cui chiese un’intervista a Ingrid Bergman, lei rispose: Non mi interessa. Oriana allora: “Si figuri se interessa a me”, e se ne andò. Lo spirito è questo, anche davanti a Federico Fellini, che la fece aspettare per ore e giorni, e a Salvatore Quasimodo, premio Nobel, che le disse: “Ma Moravia non prende il Premio Nobel perché non è un grande scrittore. Non mi danno il premio, dice, per i miei contenuti. Non è vero, caro Moravia, non è vero. La Svezia ha dato il Nobel ad André Gide. Più immorale di Gide! La differenza è che Gide è un grande scrittore e Moravia non lo è. Sicché è inutile si sforzi: il Premio Nobel non lo prenderà mai”. Tutti hanno un veleno, un rancore o un punto debole, una contraddizione, una mediocrità, e Oriana Fallaci è spietata, ma anche allegra e ostinata nel tirarli fuori, e chiede a Nilde Iotti se non abbia voglia di andare a Parigi a comprarsi un bel cappellino e mandare all’aria Montecitorio e le scartoffie. Nilde Iotti risponde: “Non sono mica una vamp”, ma ammette che le piacciono i foulard colorati anche se si veste sempre di marrone. “Più che essere una donna elegante, vede, m’importa essere una donna correttamente vestita”. Davanti ai suoi antipatici Oriana Fallaci è pronta anche a esibire un po’ di spudorata rozzezza nel domandare. Di fronte a Natalia Ginzburg, no: “Fra tutte le donne di questo libro essa è la migliore e quella che suscita i sentimenti migliori. Dice Natalia Ginzburg che quando si scrive bisogna scordare i sentimenti, usare al loro posto distacco e ironia. E io penso che abbia assolutamente ragione: ma scrivendo di lei non riesco, non riuscirò mai a scordare i sentimenti che suscita in me”.