L'intervista.- Nicolas Mathieu su letteratura, giovani e populismo

Categoria: Cultura

Nel romanzo "E i figli dopo di loro", l'autore francese riflette sul disagio esistenziale delle periferie negli Anni 90. Culle del malcontento e dell'insofferenza che la politica negli anni non ha saputo comprendere.

Antonio Buozzi lettera43.it, 10.10.2019

Viviamo in un «tempo sospeso», così come lo è l’adolescenza nel romanzo di Nicolas Mathieu E i figli dopo di loro, premio Goncourt 2018, esempio manifesto, qualcuno ha osservato, di come sia ancora possibile scrivere oggi un romanzo realista dopo i de profundis profusi a piene mani non solo al realismo, ma alla forma stessa del romanzo, in tempi peraltro non lontani. Come in Corniche Kennedy, della conterranea Maylis De Kerangal, si può raccontare un’epoca fissando l’obiettivo senza mai muoverlo, che sia uno scoglio di Marsiglia, o, come in questo caso, una piccola città post-industriale nel Nord-Est francese, l’immaginaria Heillange nel romanzo di Mathieu. E il risultato è identico: dai personaggi si ricrea un tempo, si dilata uno spazio, una storia che è insieme individuale e collettiva, privata e pubblica.

Protagonisti sono i ragazzi di Heillange, figli di operai della Metalor, la grande industria ormai decaduta che incombe come un castello kafkiano sul destino dei personaggi

E i figli dopo di loro (Marsilio, 477 pagine, 16 euro, nella bella traduzione di Margherita Botto) è il racconto di un’adolescenza, quell’intervallo in cui «morire non esiste», che è anche metafora di un tempo incompiuto come quello che stiamo vivendo. Il romanzo è costruito a blocchi, come mattoncini del Lego, ogni due anni per quattro estati dal 1992 al 1998. Protagonisti sono i ragazzi di Heillange, figli di operai della Metalor, la grande industria ormai decaduta che incombe come un castello kafkiano sul destino dei personaggi, come Anthony e lo spacciatore Hacine, immigrato di seconda generazione dal Marocco, o come la bella Steph, di famiglia borghese e con un padre assente e ossessionato dalla politica.

Con loro e attorno a loro si muove un mondo di “sopravvissuti”: alla fine della Metalor, ma su un piano simbolico al «fango della gente, che ti trascinava a fondo, ti riempiva la bocca, quell’affogare nei rapporti umani». Tutti personaggi ellitici, sempre sul punto di sfuggire lungo la propria tangente, accomunati dal medesimo sentimento di «noia», di disgusto, che spinge alla fuga verso un altrove che non esiste o che, quando c’è, come per Steph a Parigi, si risolve in un amaro disincanto.

Ci sono due temi essenziali nel mio libro: l’adolescenza e il passaggio del tempo

A questa opacità e inerzia del mondo si oppone unicamente quella vita al suo diapason che è l’adolescenza, l’energia incessante che «brucia la pelle», il movimento, la velocità come via di fuga dal presente. Nella consapevolezza che «il paradiso era perduto sul serio, non ci sarebbe stata nessuna rivoluzione; non restava che fare rumore». Lettera43.it ha incontrato Nicolas Mathieu dopo la presentazione del libro a Festivaletteratura a Mantova.

DOMANDA. Gli Anni 90 del romanzo sembrano il prequel di fenomeni che esploderanno dopo il 2000: terrorismo, rivolta nelle banlieux. Perché ha scelto quel periodo?

RISPOSTA. Per due ragioni fondamentali: è un tempo che dura fino a oggi, un momento di cesura tra un vecchio ordine mondiale che crolla insieme al muro di Berlino e un una nuova fase in cui stiamo entrando senza avere ancora gli strumenti per qualificarla e governarla. Un tempo sospeso, dunque, come quello dell’adolescenza, periodo di cambiamenti profondi da una fase della vita a un’altra. Vi è poi una terza ragione, che era più comodo per me parlare di amori adolescenziali in un periodo che avevo io stesso vissuto. Sarebbe stato più difficile raccontare l’economia amorosa dei giovani di oggi.

D. Il racconto è anche una mitologia della bellezza e dell’adolescenza come sua condizione.

R. Ci sono due temi essenziali nel mio libro: l’adolescenza e il passaggio del tempo. E sono strettamente legati perché l’adolescenza è proprio questo cambiamento del corpo abitato da nuove pulsioni, da passioni spontanee come la collera, l’amore, il desiderio. Il tempo rivela ai giovani le loro potenzialità, mentre sui genitori, sulla generazione di mezzo, ha l’effetto opposto, quello di evidenziare il diminuire della propria potenza.

D. Però anche nei più giovani l’adolescenza sembra richiudersi in se stessa, senza sbocchi sul futuro. È il frutto di un mondo deideologizzato e postindustriale come l’Heillange del romanzo?

R. Quando si è adolescenti si desidera ottenere tutto, immediatamente. La separazione tra ciò che vogliamo e ciò effettivamente otteniamo è parte dell’adolescenza. In questo senso l’adolescenza è spesso una pulsione impedita, bloccata, indipendentemente dal contesto. Ecco allora il malessere, la noia, le frustrazioni che si producono sempre questa fase della vita.

D. Lei scrive che «la vita era una questione di tragitti… ogni desiderio induceva una distanza, ogni piacere richiedeva carburante»: c’è quasi uno spirito futurista in questa generazione?

R. Mi sembra ci sia una sostanziale differenza con il movimento del Futurismo e con il clima di quell’epoca. Allora c’era la fede nel progresso e nella tecnica, mentre per i ragazzi protagonisti del mio libro, la velocità è manifestazione della loro stessa sete di libertà in un contesto in cui tutto è bloccato. La velocità è quindi la forza che si oppone all’inerzia, alla volontà di non cambiamento.

D. Alcuni critici hanno salutato il suo libro come un ritorno al romanzo realista di stampo ottocentesco dopo anni di meta-narrativa, autofiction, monologhi interiori. Condivide?

R. Assolutamente, sia nei mezzi sia nei fini, al di là dei postulati estetici: Flaubert, Céline, Ernaux sono i miei maestri. La vocazione eminente della letteratura è la capacità di fissare le percezioni e sensazioni perché sopravvivano a chi le ha provate. È sempre una questione di ‘fisicità’.

D. Oggi ha successo una narrativa documentaria che miscela storia e finzione. Lei sembra dare ancora fiducia al fascino del reale, anche nelle esistenze più ordinarie…

R. Effettivamente molti scrittori oggi si servono di fatti storici per romanzare, io invece mi muovo all’opposto: cerco di restituire dei mondi per i quali non servono i dettagli dei documenti storici o di altro tipo. I fatti storici, sociali sono solo la benzina per far partire la macchina narrativa.

D. Il suo romanzo è anche una riflessione sul disagio esistenziale delle banlieux, sul malessere sociale che si esprime anche votando partiti populisti o sovranisti.

R. Negli ultimi 40 anni la mondializzazione ha fatto quello che ha voluto nel suo cammino inarrestabile, generando ovunque malcontento e sofferenza, ma il modo di governare non è cambiato, né ha tenuto conto minimamente di queste situazioni.

D. E questo che effetti ha avuto?

R. Gli interessi e il malcontento di una parte significativa della popolazione non hanno trovato una via istituzionale per esprimersi, e dunque oggi molte persone non credono più nella rappresentatività dei partiti politici tradizionali, ma anche negli intellettuali o nella stampa. Da questo emerge il populismo che i partiti politici tradizionali si limitano a stigmatizzare per le sue istanze politiche irrazionali e xenofobe. In questo modo credono di risolvere il problema, ma in realtà continuano a non affrontarlo.