I redditi non sono la causa dell’inverno demografico

Categoria: Cultura

Da decenni ormai la Stato ha privato la famiglia, un tempo unità autonoma e organica, di quasi tutte le sue funzioni (produttive, riproduttive, educative, assistenziali), che le sono state espletate e sottoposte a controllo

di Gianfranco Morra 23.10.2019 www.italiaoggi.it

La crisi della famiglia, da noi, cominciò nel 1964. Sino a quella data sia i matrimoni che le nascite (2,70 per donna) crescevano ogni anno. Dall'anno seguente sono sempre diminuite, sino ad arrivare all'attuale situazione disastrosa (1,30). Non solo da noi, in tutto l'Occidente. Le radici della crisi erano già nell'Ottocento, quando la rivoluzione francese estese in Europa uno statalismo invadente, che sottometteva a sé gran parte della attività familiare. La famiglia, che era il nucleo primario della socialità, dovette cedere allo Stato in nome della libertà ed eguaglianza.

Perché? Fra i tanti libri ce n'è uno che più degli altri ci aiuta a capire. È opera di un sociologo anticonformista americano, Christopher Lasch (1932-1994). Lo pubblicò nel 1977, mentre la cultura nemica della famiglia, quella dei «liberal» (niente di liberale, sono radicali estremisti), era ormai padrona della industria culturale. Da noi trionfavano libri come quello di Alexander Mitscherlich, Verso una società senza padre (1970) e quello di David Cooper, La morte della famiglia (1972). Opere sulle quali è stato creato il mito del padre «padrone o almeno padrino» e della famiglia come luogo dell'autoritarismo.

Fra le sue numerose opere Lasch ne ha lasciato tre, che costituiscono un trittico perfetto della società nostra in degradazione: La cultura del narcisismo (1979), che introduce nelle scienze sociali il termine di Freud; e L'io minimo (1984), un self perfetto dell'uomo attuale («che vive un dualismo tra pubblico e privato, un individuo senza passato e senza futuro, che vive alla giornata»). Forse il primo dei tre è il più acuto: Rifugio in un mondo senza cuore. La famiglia in stato d'assedio (1977), che proprio in questi giorni la Casa editrice Neri e Pozza ha ripubblicato (pp. 230, euro 17). Un libro che scarta subito quell'alibi, che i preti e i politici usano per spiegare la denatalità: la difficoltà economica. Non che non ci sia, ma è una giustificazione poco importante, tanto è vero che da decenni gli stati più ricchi hanno aumentato le previdenze per i figli (premi, sussidi, ferie per i genitori, scuole materne gratuite), ma le nascite invece sono calate.

La ragione è che la causa principale della denatalità non è che la donna non possa fare figli, ma che non li vuole, in quanto ha una diversa idea sul tipo di vita che vuole avere. Da decenni ormai la stato ha privato la famiglia, un tempo unità autonoma e organica, di quasi tutte le sue funzioni (produttive, riproduttive, educative, assistenziali), che le sono state espletate e sottoposte a controllo. Un tempo unità autonoma e organica, oggi è divenuta un «luogo di ritrovo serale per senzatetto, un rifugio in un mondo senza cuore».

Oggi la famiglia, che per millenni è stata la più stabile relazione umana, assume i suoi modelli dello Stato, divenuto sempre più assistenziale e parassitario, che controlla il corpo e lo spirito del cittadino, la sua vita esteriore e interiore: «L'intera vita del cittadino è ormai sottoposta alla direzione della società, la mediazione della famiglia e delle altre agenzie di socializzazione si affievolisce». Al limite sarebbe la fine della famiglia come cellula basilare della società, che molti intellettuali scienziati umani considerano «una istituzione corrotta da abbattere».

 

Lo Stato si è posto «al capezzale di una famiglia malata». Con una serie di suoi operatori: sociologi, psicologi, psichiatri, assistenti sociali, consiglieri familiari, la cui opera ha sempre più aumentato la crisi della famiglia. Che ha attraversato tre momenti storici: la famiglia «tribale e clanica», quella «domestica» dell'età moderna, quella postmoderna «atomistica, di un «paternalismo senza più padre», debole e liquida». Almeno le prime due funzionavano.

L'uomo narcisista, che nasce vecchio e muore bambino, non è più l'uomo egoista o individualista dell'epoca borghese, egli cerca al posto della famiglia stili di vita alternativi, sulla base di una ideologia dell'impegno non vincolante e del rapporto indefinito: «Le nuove idee di liberazione sessuale, la celebrazione di sessualità orale, masturbazione e omosessualità, nascono dalla paura invalsa dell'amore omosessuale e perfino del rapporto sessuale».

Così Lasch scriveva nel 1977, dopo tanti anni le sue previsioni non si sono solo avverate, ma sono state anche superate in sempre nuove forme di permissivismo. Sarebbe un errore generalizzare le sue intuizioni, ma resta vero che «minando la capacità di autodirezione e autocontrollo della famiglia la società ha incrinato una delle principali forme di coesione sociale, all'unico scopo di crearne altre ancora più oppressive e deleterie per la libertà personale e politica».

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