Ricolfi. La scuola, una causa della crisi. Ha infatti formato un esercito di disoccupati volontari

Categoria: Cultura

I nostri politici sono passeggeri di prima classe che ballano sul Titanic». Prossima ad affondare è l'Italia, un paese dove la ricchezza è cresciuta più del reddito…..

di Alessandra Ricciardi, 25.10.2019 www.italiaoggi.it

I nostri politici sono passeggeri di prima classe che ballano sul Titanic». Prossima ad affondare è l'Italia, un paese dove la ricchezza è cresciuta più del reddito, i giovani inoccupati sono più degli occupati, le famiglie si reggono sui risparmi delle generazioni precedenti, tutti consumano più di quanto guadagnano e la produttività è ferma da 20 anni. A indagare le ragioni per cui i ristoranti sono pieni ma l'economia è in recessione è Luca Ricolfi, sociologo dell'Università di Torino, presidente della fondazione David Hume, nel suo ultimo lavoro, La società signorile di massa (ed. La nave di Teseo). Sul banco degli imputati, Ricolfi mette anche la scuola: «Il sistema dell'istruzione, con la piena complicità di famiglie, mass media e politici, ha avuto un ruolo cruciale», contribuendo a formare «un esercito di disoccupati volontari».

Domanda. In Italia gli inoccupati sono più degli occupati. Il paese è in stagnazione. Perché lei parla di società signorile di massa?

R. Perché, nonostante il nostro bassissimo tasso di occupazione (solo la Grecia fa peggio), la ricchezza e il reddito sono tali da consentire a una larga maggioranza di cittadini italiani di accedere a consumi opulenti senza lavorare, il che è precisamente ciò che definisce la condizione signorile.

D. Una società signorile di massa potrebbe avere anche un'accezione positiva. Non è questo il caso. Perché?

R. Non c'è niente di male nel fatto che una vita «da signori» possano permettersela tanti italiani. Il problema è che tale condizione signorile da un lato ha poche possibilità di durare nel tempo, dall'altro poggia su un'ampia infrastruttura paraschiavistica (costituita prevalentemente da immigrati), e si accompagna a una serie di fenomeni inquietanti, che io chiamo «le ombre del benessere».

D. Quali fenomeni?

R. Il più importante, probabilmente, è lo smantellamento sistematico - nella scuola, nell'università e nel sistema dei media - della cultura intesa in senso proprio, ossia come attività umana distinta dallo spettacolo, dall'evasione e dall'intrattenimento. Il secondo è il trionfo di consumi autodistruttivi o forieri di dipendenza, come il gioco d'azzardo, il consumo di stupefacenti, e più in generale i consumi compulsivi.

Ma il fenomeno più inquietante è un altro ancora, ed è il «doppio legame» che si viene ad instaurare - spesso all'interno della medesima famiglia - fra chi lavora e chi non lavora.

D. Perché un legame doppio?

R. Un legame che è «doppio» perché può essere descritto in due modi opposti: i figli e i partner inoccupati sono vittime in quanto esclusi dal lavoro, o sono privilegiati in quanto consumano senza lavorare? Gli adulti che li mantengono sono dei privilegiati in quanto hanno la fortuna di avere un lavoro, o sono vittime in quanto devono mantenere un esercito di parassiti? Il «doppio legame», concetto che io riprendo da Gregory Bateson, è una fonte inesauribile di disagi, frustrazioni e risentimenti.

D. La ricchezza è cresciuta più del reddito. Come è possibile?

R. In passato la crescita della ricchezza è stata sostenuta soprattutto dall'esplosione del debito pubblico, dalla propensione al risparmio delle famiglie, e dalle bolle immobiliari. In tempi più recenti, quando il valore delle abitazioni si è ridotto, la ricchezza ha tenuto soprattutto grazie alla risalita del valore degli asset finanziari (azioni, obbligazioni, fondi comuni ecc.).

D. I risparmi dei padri prima o poi finiranno. E poi?

R. Poi poco per volta abbasseremo il nostro tenore di vita, anche perché chi ha più talento o più risorse si sarà nel frattempo spostato all'estero. La demografia è un ingrediente centrale del declino, come mostra il caso del Mezzogiorno e, domani, potrebbe mostrare l'Africa. Nessun territorio si salva se i migliori, o i più intraprendenti, o i più ricchi, decidono di andarsene.

D. Che ruolo ha avuto il sistema dell'istruzione e della formazione universitaria?

R. È stato cruciale, in vari sensi. La scuola, con la piena complicità di famiglie, mass media e politici, ha deliberatamente abbassato l'asticella della promozione, certificando sistematicamente competenze inesistenti o zoppicanti. Con due conseguenze: bloccare la mobilità ascendente dei ceti bassi, per i quali un'istruzione di qualità era l'unica vera carta a disposizione; creare un esercito di giovani sinceramente convinti di possedere le capacità che i loro titoli di studio certificavano, con conseguente formazione di un esercito di disoccupati volontari.

D. Perché lei parla di disoccupazione volontaria?

R. Disoccupazione volontaria significa che si resta senza lavoro non perché non c'è alcuna posizione lavorativa vacante, ma perché nessun posto disponibile viene considerato congruo. Questa è la prima volta, nella storia d'Italia, in cui una parte notevole della gioventù, grazie al patrimonio e al reddito delle famiglie, può permettersi il lusso di non lavorare, o di aspettare che si presenti un'occasione adeguata alle proprie capacità e al proprio talento, o persino - nei ceti alti - di attendere il momento in cui il patrimonio familiare passerà di mano. Con una piccola complicazione: che per una minoranza di giovani ben preparati il problema è davvero che il lavoro giusto non c'è per tutti (e quindi viene cercato all'estero), mentre per la maggioranza dei giovani (e pure di molti quasi giovani) il problema è che le loro competenze effettive sono largamente inferiori a quelle certificate dal titolo di studio che hanno in mano. E le imprese, comprensibilmente, si fidano sempre di meno di quel che c'è scritto sul pezzo di carta.

D. Parliamo di colpe. Di chi sono?

R. Sono molto diffuse, anche se penso che le maggiori responsabilità siano in carico ai docenti, ai politici e ai genitori. La stella polare di queste tre categorie è sempre stato il consenso: non essere contestati dagli studenti (i docenti), conquistare il voto dei giovani (i politici), evitare tensioni con i figli (i genitori).

D. Quali sono le prospettive?

R. Per quanto riguarda la scuola, diciamo che, in due o tre decenni, si potrebbe provare a rimettere in piedi quel che è stato smontato in cinquant'anni, ossia dal 1968 a oggi.

Per quanto riguarda l'economia, c'è un problema che sovrasta tutti gli altri: il ristagno più che ventennale della produttività del lavoro, un fenomeno che non ha riscontro in nessuna altra società avanzata. La ragione per cui sono pessimista è che di tutto si discute quotidianamente tranne che di questo problema, e nei rari casi in cui se ne parla non c'è accordo sulle cause, e quindi nemmeno sulle terapie.

D. La sua analisi è devastante. La legge di Bilancio sta per arrivare in parlamento: su lavoro, scuola, economia ci sono segnali di un cambio di passo?

R. I cambiamenti di passo reali sono minimi, però qualcosa si muove. Oggi, rispetto a un anno fa, c'è un briciolo di maggiore attenzione ai problemi dell'istruzione, ma purtroppo questo passo avanti è bilanciato da una minore attenzione al problema della pressione fiscale, per non parlare della totale incapacità dei nostri politici di percepire gli ostacoli al fare impresa in Italia. Del resto è comprensibile: quegli ostacoli è stata proprio la politica a disseminarli.

D. Se nel paese ci sono esigenze di giustizia sociale e di sviluppo economico, chi politicamente le rappresenta? Sinistra e destra, con i rispettivi partiti di riferimento, che valori interpretano oggi?

R. Distinguerei nettamente fra giustizia sociale e sviluppo economico. Alle istanze di giustizia distributiva sono particolarmente sensibili il Movimento Cinque Stelle, Leu e Fratelli d'Italia, all'esigenza di far ripartire l'economia sono sensibili un po' tutti, ma con ricette diametralmente opposte. Schematizzando un po', la metterei così. A un polo ci sono quelli che pensano che il problema principale sia la debolezza della domanda interna, e che per farla ripartire si debba continuare, in modo più o meno avventuroso, ad aumentare il debito pubblico: in questo gruppo metterei tutta la sinistra eccetto Italia viva e +Europa. All'altro polo ci sono quanti pensano che il problema centrale siano le aliquote fiscali troppo alte, e che la riduzione delle tasse sia la via maestra. Qui metterei tutta la destra, più Italia Viva e +Europa, due partiti che differiscono solo per il grado di radicalismo anti-tasse e pro-immigrati, con Emma Bonino sicuramente più radicale di Matteo Renzi. Ma il discorso sulla destra andrebbe approfondito, perché io vedo tre destre molto diverse, che fingono di somigliarsi, ma sull'economia la pensano in modi alquanto difformi.

D. In che senso?

R. Vediamo caso per caso. Matteo Salvini, dopo aver bruciato miliardi su un obiettivo assistenziale come quota 100, ha mostrato chiaramente di essere pronto a mettere a repentaglio i conti pubblici pur di abbassare le tasse, con obiettivo aliquota al 15%. Silvio Berlusconi si accontenterebbe del 23%, ma anche lui non sembra in grado di trovare le coperture, e quindi finirebbe per ricorrere al deficit, con conseguenti tensioni sullo spread. Molto diversa è la posizione di Fratelli d'Italia, che da alcuni anni ha enunciato una ricetta estremamente ragionevole e prudente (qualcuno potrebbe obiettare: fin troppo prudente): aliquota del 15%, ma - almeno all'inizio del percorso - solo sul reddito incrementale, ossia sugli aumenti di reddito rispetto all'anno precedente. Mi sorprende che nessuno abbia notato questo lato moderato, e ben poco sovranista, di Giorgia Meloni.

D. Che grado di consapevolezza c'è presso la classe dirigente della decadenza del paese?

R. Nessuna, direi. Ma è normale: la decadenza di una civiltà, o di un paese, è precisamente quella condizione nella quale né i cittadini né i loro dirigenti sono disposti a guardare in faccia quello che sta accadendo. I nostri politici sono passeggeri di prima classe che ballano sul Titanic. Con un'unica differenza: che loro, quando il paese sprofonderà, non avranno difficoltà a salire su una scialuppa di salvataggio.

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