Superstition e oltreI settant’anni di Stevie Wonder, il re del soul che ha rivoluzionato la black music

Categoria: Cultura

Nato il 13 maggio 1950, bambino prodigio e non vedente dalla nascita, è considerato uno dei musicisti più innovativi e influenti di tutti i tempi. Si è contraddistinto anche per la grande attività a favore dei diritti civili

Maurizio Stefanini, 13.5.2020 linkiesta lettura6’

«Molto superstizioso/ la scritta è sul muro/ molto superstizioso/ le scale stanno per cadere/ un bimbo di tredici mesi/ ruppe lo specchio/ sette anni di disgrazia/ le cose belle sono nel tuo passato/ Quando credi in cose/ che non capisci/ allora soffri/ la superstizione non è la soluzione». Hit del 1972, Superstition è una canzone che vinse due Grammy Award, e che è stata classificata dalla rivista Rolling Stone come 74esima tra le 500 migliori canzoni della storia.

Al tempo stesso elenco quasi demologico di una serie di credenze popolari e consiglio illuminista a lasciarle perdere, il brano però è soprattutto famoso per un ritmo trascinante che sembra di chitarra elettrica. Che però non è chitarra: è un clavinet, sorta di reinvenzione elettrificata del clavicordo, che trasforma l’antenato del pianoforte in un succedaneo della chitarra elettrica. Di due anni dopo è Boogie On Reggae Woman: una canzone che in realtà non è né un boogie e né un reggae ma un funk e che inizia su un caratteristico ritmo di basso. Che però non è fatto con un basso, ma con un synth moog: altro strumento a tastiera elettronico, che imita il basso.

Nulla è come sembra insomma. Ma d’altronde per un non vedente nulla sembra, e tutto è. Nato esattamente settant’anni fa, il 13 maggio 1950, Stevland Hardaway Judkins, poi Stevland Hardaway Morris dopo il divorzio della madre, poi in arte Little Stevie Wonder quando come “piccola meraviglia” fu lanciato nel mondo della musica da ragazzo prodigio a 11 anni e arrivò in testa alla hit parade a 13, infine semplicemente e sempre in arte Stevie Wonder, è cieco.

Nacque prematuro di sei settimane per una minaccia di aborto, e perse le retine. Dall’aedo Omero padre della letteratura mondiale al tenore Andrea Bocelli primatista di vendite tra i cantanti italiani nel mondo, sono stati tanti i ciechi in primo piano nella musica, e in molte culture anzi la musica è stata considerata un ambito di attività privilegiato per permettere ai ciechi di diventare autonomi e affermarsi.

Lo stesso Wonder quando nel 1996 ricevette ad honorem la laurea di Dottore della musica all’Università dell’Alabama a Birmingham raccontò: «anni fa molti mi dissero: “Tu hai tre tare: sei cieco, nero e povero”. Ma Dio mi ha detto: “Io ti arricchirò dello spirito di ispirazione, per trasmetterla ad altri e perché con la tua musica tu possa incoraggiare il mondo a perseguire l’unità, la speranza e la positività”. Ho creduto a Lui e non a loro».

Musicista a tre anni, pianista a quattro, corista in chiesa, suonatore di armonica e batteria a 9, prima registrazione appunto a 11 anni e in testa alla Hit Parade a 13 con Fingertips, record tutt’ora imbattuto: Stevie Wonder è appunto un altro cieco che ha fatto la storia della musica, anche solo per le dimensioni del suo successo.

24 Grammy Awards, 1 Grammy Lifetime Achievement Award, un Oscar e 11 American Music Awards, con oltre 100 milioni di dischi venduti, 38 album, 10 singoli al numero uno nella Billboard Hot 100 e oltre 30 brani presenti nella US top ten. «Quantità» del suo successo a parte, è stato un grande attivista e leader dei diritti civili, ha giocato un ruolo fondamentale nel rendere festa nazionale il compleanno di Martin Luther King Jr., nel 2009 è stato nominato «messaggero di pace» dalle Nazioni Unite, nel 2014 Barack Obama gli ha dato la Presidential Medal of Freedom, e nel 2016 la città di Detroit ha intitolato una via a suo nome con lui ancora in vita.

«Quantità» a parte, però, c’è, la qualità. Nero e come si è ricordato corista in chiesa, Stevie Wonder sta in quella tradizione che parte dal blues: il canto dei neri d’America, su una struttura in 12 battute e con quelle «blue notes» che abbassavano la scala occidentale, riproducendo alcuni stilemi della musica africana. «Note blu» nel senso di tristi.

Ritmato per influenza del boogie diventa Rhythm and blues, che a sua volta interagendo col folklore bianco country diventa Rock and roll. Il Rock and roll evoluto in pop reagendo di nuovo sul Rhythm and blues diventa Soul. E Stevie Wonder è colui che separa definitivamente il Soul dal Blues con l’innescarlo su tutta una serie di altre influenze: di nuovo il pop, il jazz, il funky, il reggae, il gospel, l’hip-hop, il folk, i ritmi latini.

Ma questa reinvenzione vorticosa è possibile appunto e soprattutto perché Stevie Wonder è un polistrumentista capace di confondere le acque, e di far diventare una tastiera chitarra, basso, perfino orchestra di fiati e di archi. Torniamo ad esempio alle due canzoni da cui siamo partiti. Praticamente, vi fa tutto quasi da solo, da vero “One Man Band”.

In realtà sono disponibili anche video di concerti in cui si fa aiutare, ma sostanzialmente nella Superstition del disco Stevie Wonder fa tutto tranne i fiati: doppia parte di clavinet, batteria, basso synth, canto. Ovviamente su tracce sovrapposte tra di loro in studio: per questo non ce ne sono filmati originali.

Lo stesso in Boogie On Reggae Woman, caratterizzato da un lungo assolo fatto con l’armonica cromatica. Anche qui nei concerti non si possono mostrare le tracce contrapposte, ma Stevie Wonder esibisce spesso una combinazione tra armonica solista suonata con una mano tastiera di accompagnamento eseguita con l’altra.

Oltre che con gli strumenti e con i generi Stevie Wonder è stato eclettico anche nelle collaborazioni. A fine anni ’70 scrisse I Can’t Help It per l’album Off The Wall di Michael Jackson, con cui cantò anche ai tempi di USA for Africa, assieme ad altri ancora.

Negli anni ’80 fece sé stesso in una puntata della serie TV I Robinson, cantando una sua canzone. Nel 1982 duettò con Paul McCartney nel brano sull’integrazione razziale Ebony and Ivory inserito nell’album Tug of War. Nel 1985 suonò l’armonica in There Must Be an Angel (Playing with My Heart degli Eurythmics. Nel 1987 doppio duetto con Michael Jackson: Just Good Friends per Bad di Jackson e Get It nell’album Characters di Wonder.

Ancora, negli anni ’90 duetti con Whitney Houston (We Didn’t Know), Frank Sinatra e Luciano Pavarotti. Nel 2003 collabora con i Blue per la sua cover Signed, Sealed, Delivered I’m Yours inserita nell’album Guilty. Il 7 luglio 2009, a Los Angeles, ha aperto la serata in commemorazione di Michael Jackson cantando Never Dreamed You’d Leave in Summer e They Won’t Go When I Go. Sempre nel 2009 per Mao Otayeck scrive le musiche di Wait e suona l’armonica nel brano Carry On.

Ma il bello è che al Festival di Sanremo 1969 aveva fatto coppia pure con Gabriella Ferri! Ha fatto inoltre cover di Bob Dylan e dei Beatles, tournée con i Rolling Stones e Elton John, e il suo album For Once In My Life è stato considerato ispiratore dei Bee Gees di Saturday Night Fever.

Al cinema, memorabile fu la colonna sonora del film di Gene Wilder La signora in rosso, dove sulla musica di Stevie Wonder Kelly LeBrock faceva il verso a Marilyn Monroe. Da quell’album, I Just Called To Say I Love You vinse l’Oscar. Di Stevie Wonder è anche nel 1990 la colonna sonora di Jungle Fever, film culto di Spike Lee.

Superstition e Boogie On Reggae Woman sono del cosiddetto «periodo classico», che va tra il 1970 e il 1975. Viene dopo la fase giovanile, quando non basta più fare il bambino prodigio, e bisogna dimostrare di essere musicisti a tutto tondo. Un assaggio è forse nell’album Eivets Rednow, del 1968.

Firmato col suo nome d’arte alla rovescia, a 17 anni è già un album altamente sperimentale, tutto tracce strumentali con molti assoli di armonica. Sono i cinque album Music of My Mind, Talking Book, Innervisions, Fulfillingness First Finale e Songs in the Key of Life, a un tempo punti di riferimento della musica leggera del XX secolo, affermazione di autonomia artistica e manifesto filosofico a proposito di umanità e Dio.

Negli anni ’80 verrà poi un periodo più commerciale, per poi dopo una certa stasi degli anni ’90 tornare nel 2005 al grande successo di A Time to Love, che al momento è l’ultimo dei suoi album Dal 2009-10 starebbe però lavorando a tre album di nuovo “filosofici”: The Gospel Inspired by Lula dedicato alla madre, Through the Eyes of Wonder sulla sua esperienza di cieco, e un terzo jazz. Insomma, la grande carriera continua.