Trump è la caricatura di un populismo individualistico in cui la libertà è forza

Categoria: Cultura

Il popolo nell'ideologia americana. Quegli individui seriamente individualisti, come fondamento più saldo e sano della nazione, al di qua e al di là di regole, procedure e funzionari istituzionali

ALFONSO BERARDINELLI 16.1. 2021 ilfoglio.it letttura4’

Forse non è giusto, non è corretto, ma una volta detto è difficile essere smentiti: negli Stati Uniti d’America il popolo è più importante che in ogni altro paese (anche se non si è mai sciolto davvero in un melting pot) e le élite politiche sono rispettate solo quando viene sentita nel modo più diretto la rappresentatività della loro delega. “L’Italia è una Repubblica” sono le prime parole della Costituzione italiana. “We, the People” sono quelle più concretamente solenni e vibranti con cui si apre la Costituzione degli Stati Uniti. L’ideologia americana, la cultura e sensibilità politica degli americani, vede nel popolo, un popolo, sia chiaro, fatto di individui seriamente individualisti, il fondamento più saldo e sano della nazione, al di qua e al di là di regole, procedure e funzionari istituzionali.

  

Ripeto questi luoghi comuni per ricordare che il populismo americano è cosa più robustamente radicata dei cosiddetti populismi europei, perfino dei più storicamente collaudati, quelli inglese e francese. E qual è il seme sempre vivo e indomitamente germogliante di questo populismo individualistico? E’ la libertà con le responsabilità personali che comporta: e a questo punto diventa chiara la differenza con l’apparente e parassitario individualismo di noi italiani, che una vera rivoluzione liberale non l’abbiamo mai fatta, cosa che rende fiacca e monca anche la nostra democrazia. La libertà americana, fondata sulla responsabilità di individui che quando falliscono socialmente si sentono più colpevoli che vittime innocenti, è una libertà che non può fare a meno della forza. La forza è un'idea fissa, ossessiva, spesso maniacale della cultura di massa americana (e non solo di massa).

Mi permetto di esprimermi in modo così frontale e semplificato sull’America e gli americani, pur non essendo un esperto della materia, perché dal 1945 in poi l’Europa, con l’Italia all’avanguardia, è profondamente, capillarmente americanizzata, non in senso morale (il moralismo americano è di una specie poco compresa in Europa) ma in senso psicologico. Una buona metà del nostro inconscio culturale è fin dall’infanzia occupato da mitologie americane, cinema, fumetti, canzoni, romanzi... Siamo, avremmo voluto o vogliamo essere americani senza fare però la fatica che agli americani costa esserlo in termini di competizione quotidiana per non soccombere. Se mi mettessi a fare l’elenco dei sintomi della nostra americanizzazione, non la finirei più. Dai libri di viaggio di Soldati e Cecchi scritti durante il fascismo alle traduzioni letterarie di Pavese e Vittorini (che non parlavano l’inglese) fino alle opposte parodie di Alberto Sordi e Sergio Leone. Negli ultimi vent’anni, infine, la nostra narrativa giovane è piena di personaggi con nomi che finiscono poco italianamente in ypsilon.

La mia personale esperienza dell’America è esigua e irrilevante: meno di un mese a New York per una lettura e per concordare una raccolta di miei saggi che non fu mai realizzata. La mia generosissima mecenate di allora, Mary Kaplan, mi prestava un appartamento a Manhattan, ma quando mi disse che la sera, al buio, prima di infilare la chiave nel portoncino, dovevo guardarmi alle spalle, perché non si sa mai, potevo essere aggredito, allora capii che preferivo la vecchia, antipatica, avara e vile Europa come continente in cui vivere. Se la società americana, perfino nel cuore di Manhattan, era così insicura, allora diventava più comprensibile che qualcuno preferisse avere un’arma in tasca.

La forza, le armi da fuoco, i muscoli, la lotta, la coerente spietatezza, la vendetta di chi si fa giustizia con le sue mani sono il tema, la materia, il pane quotidiano di tutti i polizieschi e thriller americani che entrano nelle nostre case. La prima, più grande, ricca e potente democrazia del mondo non è riuscita a bonificare, controllare, civilizzare, pacificare la propria società. Secondo Hobbes, quattro secoli fa, lo stato aveva il diritto di diventare un enorme mostro mitico come il Leviatano perché la società, lasciata a se stessa, sarebbe andata del tutto naturalmente fuori controllo, dato che ogni uomo, per sua natura, diventa un pericolo, un lupo per ogni altro, e quindi non c’è altra garanzia contro le altrui aggressioni che non sia la forza. Se essere liberi significa avere mezzi cioè armi per esserlo, allora solo uno stato a cui venga delegato il monopolio della violenza può essere capace di difendere la sicurezza dei cittadini liberandoli da una condizione di guerra di tutti contro tutti.

Ma la libertà americana non ha voluto il Leviatano, ha preferito una società meno controllata dall’alto e più autoregolata, in cui domina più l’economia che la politica, più il mercato che lo stato. Nell’ideologia, nella cultura e sensibilità politica americana non c’è società viva senza la libertà intesa come energia. Parlando attraverso la Costituzione, il popolo chiede un’organizzazione statale che difenda e preservi le fonti competitive, espansive, inventive di individui che cercano il successo, la prosperità e la felicità nell’autorealizzazione sociale.

Trump e il trumpismo sono la versione patologica, caricaturale e minacciosa di un populismo individualistico in cui la libertà è forza, o meglio l’arbitrio è prepotenza. E questa è, nelle sue radici marcite, una potenzialità ambivalente del mito americano. Così oggi, quando gli Stati Uniti sentono aria di declino e sono minacciati dall’esterno (islam e Cina), è potuto succedere che i due estremi, la sacralità legale del Campidoglio e un’aggressività sociale resa paranoide da mille paure, si siano inaspettatamente scontrate. Purtroppo anche Trump fa parte del mito americano. Il fatto che ne rappresenti la versione più degradata e grottesca non è detto che sia un segno di debolezza. L’America che ha paura e si chiude in sé stessa sogna nei suoi incubi di riappropriarsi del potere istituzionale con le proprie mani, o perfino con le armi, anche quando quel potere è legalmente, democraticamente sancito.