Sindrome K, il virus che salvò gli ebrei

Categoria: Cultura

Si chiamava il “Morbo di K” la malattia che salvò decine uomini e donne dalla deportazione. Fu un’invenzione di tre medici che inventarono un virus contagioso per nascondere decine di persone

ARIELA PIATTELLI 24.1 2021 lastampa.it lettura2’

Si chiamava il “Morbo di K” la malattia che salvò decine di ebrei dalla deportazione dei nazifascisti. La inventano tre medici dell’ospedale Fatebenefratelli di Roma, Giovanni Borromeo, Adriano Ossicini e Vittorio Emanuele Sacerdoti, che il 16 ottobre del 1943 assistono dalle finestre del laboratorio di analisi alla razzia del ghetto, da cui li divide soltanto un ponte. Una vicenda storica che sembra un film dalle trame avvincenti, e di cui lo speciale “Sindrome K – Il virus che salvò gli ebrei”, che andrà in onda stasera su Nove e in streaming su Discovery +, ne ripercorre la storia con le interviste ai protagonisti di quell’operazione.

Quando vedono le deportazioni i tre medici non possono restare inermi e usano l’unica arma che conoscono per combattere il male, ovvero la scienza. Così riescono a nascondere alcuni ebrei in un reparto dell’ospedale, e inventano un virus “contagiosissimo” per difenderli: lo chiamano “K”, come a beffarsi dei nazisti, del famigerato generale Kesserling e del comandante della Gestapo Kappler. Per scoraggiare le SS ad avvicinarsi al reparto che ospitava i fuggitivi, i dottori scrivono false cartelle cliniche, tingendole di sintomi terribili ed effetti del contagio della malattia. Sia Borromeo che Ossicini sono membri della Resistenza, negli scantinati del nosocomio, insieme a Fra’ Maurizio Bialek, hanno installato una ricetrasmittente clandestina per essere in continuo contatto con i partigiani. Ma una mattina arrivano i tedeschi all’ospedale dell’Isola Tiberina per un controllo. Chiedono le cartelle cliniche del reparto K, e quando leggono, spaventati, fanno un passo indietro e vanno via.

Agli ebrei nascosti e alle loro famiglie Borromeo procura anche documenti falsi e nuovi rifugi, nel 2004 sarà riconosciuto dal Memoriale della Shoah di Gerusalemme Yad Vashem Giusto tra le Nazioni. «Bisogna sempre essere dalla parte giusta» diceva Ossicini, che da militante antifascista aveva subito sulla sua pelle le torture, il carcere. Scomparso nel 2019 all’età di 99 anni, lo psichiatra, ha raccontato la sua attività da medico e di membro della Resistenza nel suo libro “Un' isola sul Tevere. Il fascismo al di là del ponte”.

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