Evviva il Lettore Immorale che rifiuta ciò che è d'obbligo per il Lettore Morale

Categoria: Cultura

Leggere non è partecipare a un concorso di bellezza: tre inalienabili diritti per svincolarsi dai cliché

MARCO ARCHETTI 06.2. 2021 ilfoglio.it

Rimettere la cultura al centro dell'agenda politica

In un’intervista rilasciata negli anni 80 alla Paris review leggibile integralmente anche nel bellissimo Perchè scrivere? (Einaudi, 440 pp., 22 euro), Philip Roth ha detto: “Scrivere non è partecipare a un concorso di bellezza morale”. Bene – aggiungiamo modestamente noialtri – nemmeno leggere! Anche se, in realtà, sembrerebbe il contrario: non c’è post su social, campagna di promozione alla lettura, pistolotto di zietta iscritta al circolino del venerdì che non punti sugli aspetti edificanti della lettura, spesso definita, con sprezzo del ridicolo, “cibo per la mente”. La lettura è gravata da aureole tremende, ma chi la ama sa benissimo che leggere è altro: godimento, vizio, ossessione, mania, malattia. Leggere è una droga, pertanto urge consolazione per il negletto Lettore Immorale attraverso un piccolo manifesto portatile che lo emendi di ogni vergogna, tre punti in cui si stabilisca una volta per tutte il diritto a rifiutare i capisaldi, i corollari e tutto ciò che pare essere d’obbligo per il Lettore Morale.

Il Lettore Immorale ha il sacrosanto diritto di: 1) Detestare gli epistolari. Delizia del lettore morale, gli epistolari sono un accessorio irrinunciabile per prodursi in citazioni opportune nei luoghi opportuni. Hanno un’alta resa, ma salvo quelli simulati come, per esempio, Le relazioni pericolose di Choderlos de Laclos, uno dei romanzi più perfidi, intelligenti ed erogeni mai scritti, gli epistolari autentici, quelli in cui Simenon scrive a Fellini, Sartre fa le fusa a Simone de Beauvoir, Camus si profonde in 865 lettere d’amore all’attrice Maria Casarès, sono una noia mortale, sprechi di formalità e riverenze private tolte le quali rimane poco, e quel poco è insopportabile, per lo meno prescindibile, di certo non utile a farsi un’idea più completa dell’opera dello scrittore. Più divertente la vernice che asciuga. (Unica eccezione: Anton Cechov non ha dimenticato l’attrice Knipper, editore il Melangolo, lettere 1902-1904.) Il Lettore Immorale ha il sacrosanto diritto di: 2) Detestare i diari. Sono il letto di rose del citazionista morale. “Come scrive André Gide nel suo diario...” è un incipit di conversazione che dovrebbe autorizzare chiunque a una fuga immediata, anche a precipizio da un balcone. Non vergogniamoci di ribadirlo: ciò che un Autore non ha messo nella sua opera non ci interessa. Se un Autore si è espresso meglio nel diario che nell’opera, legittimo nutrire dei dubbi. Da uno scrittore ci aspettiamo opere, non autoritratti con data in calce. (Unica eccezione: i due diari di Witold Gombrowicz, 1953-1969, Feltrinelli). Il Lettore Immorale ha il sacrosanto diritto di: 3) Detestare gli inediti, soprattutto se incompiuti. Quando l’editore non sa che pesci pigliare, pesca l’inedito. Raccatta da cassetti frugati alla disperata quei tre capitoletti che provvede a definire, in quarta di copertina, “emblematici di tutto il mondo di X” (o “seminali” se i fogli che ha pescato sono molto ingialliti), che poi pubblica a caratteri grandi e con spaziature johnfordiane – campi lunghissimi tra una riga e l’altra – per racconciare 65 pagine compresa quella col riepilogo delle uscite della collana e farsele pagare come fossero 350. Poi ci piazza una fascetta con una frase generica di uno Scrittore Morale e tutti abboccano. Se poi il romanzo è incompiuto ogni Lettore Morale va in giulebbe sentendosi archeo-filologo. Preghiera: si accetti il corpus quale è, a maggior ragione in absentia. E si rispetti, di uno scrittore amato, quel che non ha voluto pubblicare. (Unica eccezione: Romanzo viennese di David Vogel, Giuntina.)