Foglio Internzionale. Il nuovo secolo sarĂ  cinese?

Categoria: Cultura

L’ultimo governatore inglese di Hong Kong lancia l’allarme sul “sorpasso”

28 GIU 2021ilfoglio.it lettura4’

Il Partito comunista cinese – il più vecchio partito comunista al mondo ancora al potere – festeggerà il suo centesimo anniversario il primo luglio. Dubito che Sua Maestà la Regina manderà il suo tradizionale messaggio di auguri, ma forse il Vaticano lo farà”. Chris Patten, l’ultimo governatore britannico a Hong Kong, ripercorre la storia del comunismo cinese nel suo lungo articolo sul Tablet, un’importante rivista cattolica inglese. Secondo il politico conservatore, il vero momento di svolta ha coinciso con la riabilitazione e la leadership di Deng Xiaoping dal 1978. L’apertura della Cina al resto del mondo – o forse, precisa Patten, sarebbe più accurato dire “l’apertura del mondo alla Cina” – ha dato nuova linfa all’economia di Pechino, aumentandone le esportazioni all’estero. Questo ha innescato un meccanismo virtuoso per tutta l’economia cinese: la classe media è cresciuta enormemente, e oggi conta oltre 700 milioni di persone, la povertà è diminuita anche se le diseguaglianze restano superiori agli Stati Uniti. Le esportazioni cinesi sono cresciute esponenzialmente grazie all’ingresso di Pechino nell’Organizzazione mondiale del commercio. Nel 2001 il surplus commerciale della Cina con gli Stati Uniti era pari a 83 miliardi di dollari; nel 2018 è cresciuto oltre i 400 miliardi. “Tuttavia, una caratteristica che non si applica al commercio e agli investimenti cinesi è la reciprocità – scrive Patten – E’ molto più facile per la Cina investire in un’economia in via di sviluppo piuttosto che il contrario. E i cinesi non investono in Gran Bretagna né altrove per spirito di carità. Investono per fare soldi e spesso per mettere un piede in un settore economico importante. Ci sono anche molte prove che la Cina viola le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio che ha promesso di implementare”.

Secondo Patten, la politica occidentale verso Pechino è stata segnata da un’ingenuità di fondo che ha portato grandi benefici al Partito comunista cinese. Ci siamo auto convinti che il combinato disposto tra l’apertura dell’economia cinese e lo sviluppo tecnologico avrebbe inevitabilmente portato a una maggiore apertura della politica cinese. Se volete, dice Patten, questa è stata una declinazione della previsione storica di Marx: prima o poi l’economia avrà delle conseguenze politiche. La brutale repressione dei manifestanti di Piazza Tiananmen nel 1989 è stata vista come un piccolo errore di percorso nel grande processo della Storia. Tony Blair disse che la Cina era “avviata inarrestabilmente sulla strada per la democrazia”. Quindi cos’è successo? Cosa ha fermato questo processo? Sicuramente il leader Xi Jinping, che nel 2012 è salito al vertice del partito, ha giocato un ruolo importante. Di fronte a molte minacce strutturali, come la globalizzazione, l’urbanizzazione e lo sviluppo dell’internet, la nomenclatura cinese ha deciso che l’unica risposta era quella di espandere il proprio dominio su ogni aspetto della vita nazionale inclusa l’istruzione, l’ingegnere dell’anima. Patten sostiene che il futuro del Partito comunista cinese, e la misura in cui rappresenterà una minaccia per l’occidente, dipenderà da quattro fattori. Primo, Pechino ha dimostrato di essere sempre pronta rompere la parola data per fare i propri interessi – questo atteggiamento si è visto nel trattamento riservato a Hong Kong, e nella militarizzazione delle isole e degli atolli nel mare cinese del sud.

Inoltre, Patten spiega che oggi abbiamo a che fare con ciò che l’ex diplomatico britannico Charles Parton chiama “il picco della Cina”. Al partito-stato non resta molto tempo per proiettare la propria influenza globale, e bullizzare gli altri paesi, senza generare alcuna reazione dal mondo esterno.

Pechino sta affrontando seri problemi demografici – con una popolazione calante e sempre più vecchia – ed economici, causati da una montagna di debiti. Su alcuni temi come la lotta al cambiamento climatico, spiega Patten, dobbiamo cooperare con la Cina, anche se non ci farà sconti. Ma non dobbiamo supplicare Pechino. Il tema dell’ambiente riguarda tutti e alcuni (incluso Pechino) affrontano dei rischi più seri degli altri. Terzo, le indicazioni del partito-stato spesso non trovano alcun riscontro negli atteggiamenti dei cittadini cinesi. Per averne la conferma, basta guardare ai medici di Wuhan che per primi hanno suonato l’allarme per la diffusione del Covid nonostante i tentativi delle autorità di insabbiare tutto. Nella migliore delle ipotesi, Pechino ha violato il Regolamento sanitario internazionale che aveva firmato dopo l’epidemia Sars quindici anni fa, che obbliga i firmatari a denunciare una nuova emergenza sanitaria “tempestivamente”. Quarto, la Cina ha beneficiato di un clima internazionale poco sereno, che è derivato in gran parte dal presidente Trump. Solamente la cooperazione internazionale vieterà alla Cina di minacciare i valori che le liberal democrazie sostengono di rappresentare, e che a volte rappresentano.

Secondo Patten questo non significa che bisogna tornare alla Guerra fredda.Tuttavia, bisogna riconoscere che la visione dell’occidente su un gran numero di temi è incompatibile con quella della Cina. Dobbiamo partire dall’approccio proposto dal presidente americano Biden, e stare al fianco dei paesi poveri che sono appesantiti dal debito cinese, e sostenere i nostri partner quando la Cina li prende di mira singolarmente. Il nostro obiettivo non deve essere quello di contenere la Cina, ma piuttosto limitare il suo margine di azione quando si comporta male. Soprattutto, spiega Patten, dobbiamo chiederci perché i propositi delle democrazie liberali spesso appaiono logori, malandati e nel complesso meno attraenti dei proclami di Pechino. Per vincere la sfida dobbiamo dimostrare che la democrazia e lo stato di diritto fanno gli interessi dei cittadini e dell’umanità in generale – i comportamenti maligni di Trump e dei repubblicani americani rendono questa impresa più ardua. La sfida per rendere le nostre società più aperte, più uguali e più giuste – conclude Patten – deve coinvolgere tutti i cattolici americani.

(Traduzione di Gregorio Sorgi)