Il vantaggio nucleare che la Germania nazista non sfruttò

Categoria: Cultura

Nella gara al nucleare Hitler era avanti rispetto agli Stati Uniti, ma Heisenberg (per fortuna del suo nome) non riuscì a consegnare l'ordigno prima che Berlino fosse accerchiata

GIAMPIERO MUGHINI 16 LUG 2022 ilfoglio.it

Analfabeti in fatto di fisica nucleare e della sua storia, eravamo in molti a pensare che il risultato della corsa vittoriosa degli Usa all’accesso alla bomba atomica, al tempo della Seconda guerra mondiale, fosse segnato fin dall’inizio. A pensare che la contesa tra gli Usa e la Germania di Hitler a chi per primo usasse l’immane distruttività della bomba atomica, vedeva fin dal primo momento favoriti gli Usa. Un’assoluta panzana come mostra la lettura di questo recentissimo "La brigata dei bastardi" (Adelphi, 2022) di Sam Kean, lo scrittore americano che non è secondo a nessuno quando si tratta di far duettare cognizioni scientifiche e qualità della narrazione. La verità sta tutta nel contrario di quello che ho appena detto. E cioè che tra 1939 e primissimi anni Quaranta il vantaggio nella corsa all’uso della bomba atomica stava dalla parte della potenza industriale e scientifica della Germania nazi. E’ un racconto che prende alla gola, un vero e proprio thriller.

Nell’estate del 1941 il governo inglese aveva creato un comitato consultivo sul nucleare dal nome “Maud” (acronimo per Military Application of Uranium Detonation) che avrebbe dovuto studiare le applicazioni militari dell’uranio. Il rapporto di questo comitato del luglio 1941, scrive Kean, era quanto mai fosco. Premesso che sarebbero bastati undici chilogrammi di uranio arricchito per dar luogo a una esplosione nucleare mostruosa, il rapporto lasciava intendere che i tedeschi avrebbero potuto avere un’arma siffatta entro il 1943. Tutti i dati reali volgevano in quella direzione. La fissione nucleare, di cui Kean dice che segna lo spartiacque tra il Prima e il Dopo, era stata scoperta in Germania nel 1939. La Germania disponeva di un gruppo di fisici geniali, a cominciare da Werner Heisenberg, premio Nobel nel 1932 per le sue ricerche nel campo della meccanica quantistica, anche se lui tutto era fuorché un nazista. Già nel settembre 1939 i comandi militari tedeschi avevano convocato otto tra fisici e chimici a valutare se sì o no fosse fattibile l’ipotesi di una bomba atomica, quello che verrà chiamato il Club dell’Uranio, e questo ben tre anni prima che negli Usa scattasse il Progetto Manhattan da cui provennero gli ordigni di Hiroshima e Nagasaki.

Da quando nel 1939 si era pappato una parte della Cecoslovacchia, Hitler disponeva delle miniere d’uranio più ricche d’Europa cui si aggiungeranno quelle del Belgio, su cui i nazi avevano piantato i loro stivali a metà del 1940. Dal momento in cui avevano occupato la Francia, i tedeschi avrebbero potuto avvalersi del laboratorio parigino su cui troneggiava il ciclotrone, un poderoso marchingegno inventato nel 1929 che il fisico francese, anche lui premio Nobel, Frédéric Joliot-Curie reputava talmente indispensabile ai fini dei primi esperimenti della fissione dell’atomo dell’uranio bombardato con neutroni. Quando il fisico inglese James Chadwick, Nobel nel 1932 per avere scoperto il neutrone, divenne consapevole che nella corsa alla bomba atomica i tedeschi erano avanti di due anni, pur di riuscire a dormire cominciò a prendere sonniferi e mantenne quell’abitudine tutta la vita.

Il Progetto Manhattan prese corpo solo alla fine del 1942. Quegli stessi che ci misero le mani ci credevano poco, tanto è vero che ne scelsero a capo il generale Leslie Grooves, un uomo abile ma che passava per un rompicazzi. Speravano che il fallimento del progetto ne avrebbe attenuata la boria. Peggio che andar di notte con la prima scelta che fece Grooves, quella di mettere a capo del laboratorio che si sarebbe occupato di armi nucleari Robert Oppenheimer, un professore che insegnava all’università di Berkeley. A prima vista era un uomo di pensiero, non di pratica. “Non sarebbe in grado di gestire neppure un chiostro di hamburger”, mugugnò uno scienziato suo rivale. E comunque già il 2 dicembre 1942 un esperimento particolarmente riuscito di Enrico Fermi dimostrava che la strada intrapresa dagli americani era quella giusta. Epperò gli scienziati americani lo sapevano che i tedeschi avevano un gran vantaggio. Uno di loro fece dei calcoli sulla lavagna da cui risultava che al più tardi nel dicembre 1944 i tedeschi avrebbero avuto la bomba (beninteso, sto tralasciando la miriade di personaggi e situazioni laterali che Kean ficca nella sua magistrale narrazione). Era tale il panico degli americani per quanto di micidiale stavano architettando i nazi, che a un certo punto ipotizzarono di farla sporca per primi. Fermi convinse Oppenheimer della possibilità di avvelenare le acque e le scorte di viveri in Germania. “Era un piano orrendo”, scrive Kean. Ne sarebbero morti mezzo milione di tedeschi. Troppo pochi. Lasciarono perdere.

Appena gli americani entrarono a Roma (nel giugno 1944) la prima cosa che fecero fu di precipitarsi dal quarantaseienne Edoardo Amaldi, il grande fisico che aveva collaborato con Fermi a via Panisperna e che era amico personale di Heisenberg, a chiedergli se il tedesco gli avesse rivelato qualcosa sul loro essere vicini alla bomba atomica. No, era dal 1942 che Amaldi non aveva più notizie di Heisenberg. Così pure, man mano che gli alleati rioccuparono Belgio e Olanda riuscirono a recuperare le gran quantità di uranio che i nazi non avevano usato, un buonissimo segno.

Progettarono anche di rapire se non addirittura uccidere Heisenberg quando andò a fare una conferenza nella neutrale Zurigo, ma poi non se ne fece niente. Nel marzo 1945 Heisenberg era riuscito a ultimare la costruzione del suo formidabile reattore nucleare nella “cantina atomica” dove lavorava da mesi. Troppo tardi. I carri armati americani e quelli russi erano alle porte di Berlino. Il 2 maggio gli americani catturarono Heisenberg. Per fortuna sua e del suo cognome non c’era arrivato a donare ai nazi il fungo atomico.