Presi nella rete. Come la Cina sta saccheggiando gli oceani

Categoria: Cultura

La Repubblica Popolare è la principale colpevole dello spopolamento dei mari di tutto il mondo. Le sue pratiche di pesca illegale preoccupano sia i paesi sudamericani affacciati sul Pacifico sia quelli africani

Erminia Voccia 12.10.2022 linkiesta.it lett.5’

In un indice globale di 152 Paesi, nel 2021 la Cina è stata la maggior responsabile di pesca Inn, Illegale, Non dichiarata e Non documentata. Ciononostante, Pechino continua a fornire sussidi e licenze alla sua flotta di pescherecci d’altura formata da quasi tremila navi, la più grande al mondo.

Avendo esaurito gli stock delle proprie acque costiere, ora pesca in qualsiasi oceano del mondo, dall’Oceano Indiano al Pacifico meridionale, dalle coste dell’Africa a quelle al largo del Sud America, a un ritmo e su una scala che nessun altro Paese è riuscito a raggiungere. Le Filippine e le altre nazioni affacciate sul Mar Cinese Meridionale sono abituate all’avidità cinese, ma ora gli effetti di tale attività illecita si fanno sentire anche in Paesi lontanissimi dalle coste della Cina.

Secondo l’Inter-Press Service (Ips), dall’inizio dell’anno e fino al mese di agosto 2022, almeno 630 pescherecci battenti bandiera cinese sarebbero entrati nelle acque peruviane ed ecuadoriane.

Negli ultimi due anni, la pesca cinese nelle acque territoriali o nelle zone economiche esclusive dei paesi sudamericani affacciati sul Pacifico orientale è cresciuta a dismisura. Il numero di navi di quest’anno supera già le 584 registrate in tutto il 2021, anno che aveva fatto segnare un aumento rispetto alle 350 navi del 2020.

Le autorità ecuadoriane accusano i cinesi di pescare impunemente nelle Isole Galapagos, la regione più ricca di biodiversità al mondo. Nelle Galapagos è consentita solo la pesca artigianale da parte di un numero contenuto di pescatori locali, nell’ambito del programma nazionale di gestione delle risorse dell’area marina protetta.

I pescatori del Perù hanno lanciato invece l’allarme per la pesca eccessiva del calamaro gigante, la seconda risorsa ittica del Paese dopo le acciughe. Un’attività che in Perù garantirebbe quasi 800 milioni di dollari di entrate e migliaia di posti di lavoro, ma la concorrenza sgradita dei cinesi sta spazzando via i guadagni. Come se non bastasse, i cinesi stanno facendo fallire il programma peruviano pensato per preservare la popolazione dei calamari, che ha imposto dei limiti alla pesca di questa specie.

Oltre a vari tipi di tonno, nasello e gamberi, le navi cinesi sono interessate in particolare agli squali, la cui pesca è vietata in tutto il Centro e Sud America. Ma la richiesta enorme in arrivo dalla Cina e da Hong Kong, dove le pinne degli squali sono considerate una prelibatezza, porta i pescherecci a violare le norme, a nascondere il pescato o a trasferirlo su navi diverse per eludere i controlli dei vari Paesi.

Nel 2017, l’Ecuador ha sequestrato una nave mercantile refrigerata, la Fu Yuan Yu Leng 999, che trasportava un carico illecito di 6.620 squali. La contingenza, la scarsità di pesce e il denaro ricavato dalla vendita degli squali hanno spinto anche alcuni pescatori latinoamericani alla pesca illegale, aggravando il problema.

La Cina può pescare su scala industriale grazie alle navi denominate madri, racconta il New York Times. Una di queste è l’Hai Feng 718, una nave mercantile refrigerata gestita da una società di Pechino chiamata Zhongyu Global Seafood Corp e di proprietà di un’impresa statale: la China National Fisheries Corp. Le sue stive permettono di conservare tonnellate di pescato.

Ma l’Hai Feng 718 trasporta anche carburante per le imbarcazioni più piccole che possono scaricare così il pescato e fare rifornimento senza necessariamente tornare in porto. L’utilizzo delle navi madri consente alle altre più piccole di pescare quasi ininterrottamente.

Nel corso di un anno a partire da giugno 2021, l’Hai Feng 718 si è avvicinata ad almeno 70 piccoli pescherecci battenti bandiera cinese in varie località marittime, secondo Global Fishing Watch, un’organizzazione di ricerca che raccoglie i dati sulla posizione delle navi dai loro transponder.

Il trasferimento del pesce su un’altra nave non è illegale, ma l’uso delle navi madri rende più semplice mascherarne l’origine, in questo modo si sottostima e di molto la quantità di pesce catturato.

Global Fishing Watch ha monitorato decine di casi inspiegabili di navi grandi scoperte a bighellonare in mare da sole. Secondo gli esperti, le navi più piccole potrebbero aver spento i loro transponder per evitare il rilevamento e per mascherare catture illegali o non regolamentate.

L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) ha lanciato l’allarme, ma ha osservato che la pesca cinese incontrollata non si limita alle acque dell’America Latina e che la pesca eccessiva ha sempre un impatto diretto sulla sostenibilità delle risorse, generando una diminuzione nel reddito per il settore della pesca e nella disponibilità dei prodotti per le comunità locali e per i consumatori.

Almeno a livello formale la Cina non approva la pesca illegale, ha dichiarato anche che saranno ritirate le licenze a coloro che violano le norme. Ma niente è cambiato. Per contrastare Pechino, il governo degli Stati Uniti si è impegnato a stipulare accordi di sicurezza con Colombia, Costa Rica, Ecuador, Messico e Panama per migliorare il monitoraggio delle acque, rispolverando la Dottrina Monroe.

La flotta cinese di pescherecci d’altura conta più navi nelle acque dell’Africa occidentale di qualsiasi altra nazione. Il Ghana, in particolare, sta pagando per le conseguenze di tali attività illecite. Alle navi straniere è vietato pescare nelle acque del Ghana, ma negli ultimi 10 anni le navi di proprietà cinese o gestiste da imprese cinesi si sono moltiplicate e ora sembra che abbiano assunto il controllo di quel tratto di mare e dell’industria della pesca, decimando gli stock ittici che faticheranno moltissimo a rigenerarsi.

Il Ghana non ha accordi di pesca ufficiali o bilaterali con la Repubblica Popolare. Tuttavia, i cinesi stipulano contratti di compravendita in base ai quali portano le loro navi nel Paese, le registrano a nome dei ghanesi e usano la loro bandiera come se fossero navi locali. Quasi il 90% della flotta di reti a strascico industriale del Ghana è in mano a società cinesi che si avvalgono di aziende locali di facciata per eludere la legge.

A preoccupare sono i metodi utilizzati dalle compagnie di pesca cinesi per la pesca a strascico dal fondo. Per esempio, l’utilizzo di reti a maglie dalla larghezza non autorizzata capaci di afferrare anche il pesce normalmente riservato ai pescatori artigianali o di luci molto forti per attirare più facilmente grandi quantità di pescato, luci visibili anche dallo spazio.

I metodi industriali svantaggiano i pescatori locali, ma gli operatori dei pescherecci hanno saputo stringere rapporti con loro. Parti indesiderate del pescato vengono vendute illegalmente a un prezzo maggiore o in alto mare a pescatori locali e a navi straniere oppure nelle città costiere, una pratica chiamata “saiko”. L’attività di trasbordo, o saiko, è diventata un grande affare in posti come Elmina e il porto peschereccio di Takoradi.

I trasbordi di pesce in mare sono difficili da monitorare, anche con i sistemi più avanzati. Tutte le catture dovrebbero essere sbarcate nei porti autorizzati e registrate nelle statistiche ufficiali, ma ciò non avviene. L’economia del Ghana, dove il pesce si consuma di norma anche a colazione, perde 50 milioni di dollari ogni anno a causa delle attività di trasbordo, più della metà del pesce (quasi il 60%) consumato nel Paese deve essere importato dall’estero.

I sussidi al settore della pesca sono a fondo perduto perché non riescono a risollevare la situazione dei piccoli pescatori. Le persone più colpite dal malfunzionamento del settore della pesca affermano che manca la volontà politica di affrontare i problemi di cui si lamentano i pescatori artigianali.