Aggiunte Per fare un vino ci vuole il lievito. Abbiamo provato a capire come

Categoria: Cultura

E spesso il loro apporto enzimatico e la loro azione, che servono per trasformare l’uva in aromi, alcol, CO2 e calore, viene manovrato in cantina per dare nel bicchiere i sentori che servono a essere piacione, o a vincere i concorsi.

Anna Prandoni Andrea Moser 30.12.2022 linkiesta.it lettura 5’

Per fare un vino ci vuole il lievito, e su questo non si discute. Questi piccoli esserini unicellulari sono indispensabili per trasformare l’uva in aromi, alcol, CO2, calore e, diciamolo, piacere inebriante. Spesso viene manovrato in cantina per dare nel bicchiere i sentori che servono a raggiungere l’obiettivo enologico e/o commerciale sperato. Abbiamo provato a capire come, perché e quando…

La scelta del tipo di lievito da usare nella realizzazione di un vino è determinante sul risultato finale? Il liquido che troverò nel bicchiere, se è stato prodotto con un lievito o con un altro, mi darà note differenti? E soprattutto: ci sono lieviti preferiti dai tecnici e dai degustatori che votano ai concorsi, che se vengono usati fanno automaticamente vincere le cantine che li usano?

Ma partiamo dall’inizio. Per fare il vino serve il lievito, che dà l’avvio al processo di trasformazione dell’uva in liquido alcolico, sicuro a livello microbiologico e conservabile. Si può usare un lievito selezionato, oppure – ed è una tendenza sempre più in voga – scegliere un lievito spontaneo/indigeno/autoctono per dare ancora di più un’impronta territoriale e/o originale al vino che ne scaturirà.

Ricordiamo però sempre che il lievito non lavora per noi, il lievito fa quello che è programmato per fare da millenni di evoluzione e selezione e cioè… sopravvivere! Il lievito, in presenza di ossigeno, non fermenta ma respira gli zuccheri utilizzandone tutta la loro “energia chimica” per vivere e riprodursi in maniera ancora più veloce rispetto ad una situazione di anaerobiosi (senza ossigeno). Se messo in condizioni di mancanza di ossigeno, quindi, cerca semplicemente una via per sopravvivere utilizzando sempre lo zucchero ma in maniera parziale. Lo zucchero presente nell’uva viene “mangiato” dal lievito producendo alcool, anidride carbonica, calore e aromi, da qui il motivo per cui l’alcool contenuto nel vino ci fa ingrassare: perché contiene, ahimé, ancora molta energia. Che il buon Albert non ce ne voglia, ma a volte sarebbe meglio se l’energia e la materia non si conservassero…

Il lievito è un essere incredibilmente famelico e pure “cannibale”: da poche cellule disperse in un ambiente favorevole come il mosto si formano in poche ore miliardi e miliardi di cellule attive, esse stesse affamate. Come sempre succede però, in un ambiente sovraffollato alcune cellule di lievito più deboli o vecchie iniziano a morire, ad andare in lisi e creare così un substrato per le altre cellule che si nutrono dei compagni caduti. Per questo, il miglior nutrimento per il lievito solitamente sono altre cellule di lievito inattivate in diverse maniere a seconda dello scopo e della necessità enologica. L’ambiente che si crea quindi durante la fermentazione inizia a diventare piano piano ostile per molti ceppi di lievito a causa della fermentazione stessa. L’alcool prodotto come scarto, per utilizzare gli zuccheri in assenza di ossigeno, è infatti tossico per il povero lievito che si trova quindi in un ambiente sempre più ostile, mano a mano che lo zucchero cala e l’alcool aumenta… a volte questo processo ricorda molto la condizione umana: produciamo un sacco di scarti che sappiamo ci uccideranno, ma continuiamo miopi nella nostra corsa, ci sarebbe la differenza sostanziale che noi umani abbiamo alternative e siamo in teoria degli esseri senzienti… ma questo è un altro discorso.

I lieviti selezionati sono lieviti che, in base alle esigenze dell’enologo, vengono scelti, selezionati e purificati in base alle loro caratteristiche: ce ne sono che hanno tolleranza a gradazioni alcoliche elevate, altri che sono scelti perché velocizzano la fermentazione, altri che hanno tolleranza a gradazioni zuccherine molto elevate (osmotolleranti), alcuni che possono aiutare l’estrazione del colore del vino, infine alcuni in grado di conferire, accentuare e favorire sentori aromatici specifici, e danno quindi al vino note floreali, fruttate o speziate.

Quando l’enologo pensa il vino, sceglie di conseguenza anche il lievito da utilizzare e una volta individuati i lieviti opportuni, vengono fatti riprodurre e inoculati nel mosto in appositi reattori ed essiccati. Sulla selezione e produzione dei lieviti parleremo in dettaglio, al momento vi basti sapere che come per magia si trovano sul mercato centinaia di lieviti con diverse capacità e caratteristiche specifiche. In ogni caso, non sono mostri a tre teste prodotti industrialmente e geneticamente modificati in laboratorio, ma selezionati in base alle loro caratteristiche e ai loro effetti e moltiplicati su larga scala in specifici impianti, detti reattori, che ne favoriscono la moltiplicazione e non la fermentazione.

Se la scelta ricade invece su lieviti indigeni, il rischio è più alto e il risultato più incerto, perché controllarli e avere dal loro utilizzo un risultato determinato è più difficile, anzi praticamente impossibile.

Ma in condizioni favorevoli, precise e controllate possiamo pensare di avere una maggiore caratterizzazione, e dare al vino un’identità più spiccata.

Per fare un’assonanza automobilistica proviamo a spiegare la differenza fra lieviti selezionati e indigeni con un esempio… Cerchiamo di immaginare la fermentazione come una gara automobilistica e i lieviti come le auto che vi gareggiano. Per semplificare, ogni fermentazione è da accomunare ad una strada tortuosa, ricca di saliscendi e disseminata di ostacoli. Immaginiamo che qui debba correre una squadra di macchine da rally preparata di tutto punto per affrontare tutte le difficoltà, il nostro lievito selezionato, oppure che sullo stesso percorso debba correre una vecchia accozzaglia di vecchi “pandini“, maggiolini e 500, il nostro lievito indigeno… la risposta su chi e quando debba vincere è indiscutibile. Dall’altra parte, la squadra delle macchine da rally arriverà in fondo al percorso senza cambi gomme, senza magari dover essere sostituita e senza godersi il panorama. La squadra delle nostre oldies invece non arriverà tutta in fondo alla corsa, ma si godrà sicuramente il viaggio e avrà modo di fare lavoro di squadra durante il tragitto.

Scegliere il lievito giusto è quindi una decisione tecnica a metà fra una necessità e una scelta artistica, si può comunque anche decidere di scegliere il lievito “piacione” per condizionare il risultato finale e ottenere nel bicchiere quello che il consumatore si aspetta di bere. Ma questa scelta condiziona anche i degustatori professionisti nei concorsi enologici?

Risponde l’enologo Andrea Moser: «Sì e no. O usi un lievito e fai in modo che si comporti tramite l’alimentazione, la temperatura, il tipo di ceppo o il pool enzimatico che ha come un fattore determinante per il vino, oppure usi un lievito solo ed esclusivamente per il fatto che prenda quello che c’è già nell’uva e lo trasformi in aromi, alcol, CO2 e calore. La cosa determinante che fa il lievito è trasformare il mosto in vino, partendo da tutti i precursori presenti in quel mosto. Anche un lievito che non dà particolari note fermentative a un tuo vino può darle se lo si fa fermentare a condizioni particolari, come temperature basse e scarsa alimentazione o, anche, con un’eccessiva alimentazione. È un discorso molto ampio e complesso».

Ma queste scelte condizionano davvero anche gli esperti e la loro idea rispetto al vino?

Prosegue Moser: «Per quanto riguarda la scelta del “manovrare” il vino per vincere più facilmente i concorsi la risposta è no. Molti gusti sono omologati e, quindi, ha più chance di vittoria il gusto del cliente finale, cioè le persone mediamente meno informate sul vino, che lo consumano come puro accompagnamento senza conoscerne appieno i processi produttivi. Noi siamo geneticamente tarati per mangiare frutta, dal dolce deriva l’energia (sono carboidrati). L’uomo come animale è tecnicamente programmato per riconoscere aromi e profumi piacevoli che lo portano a qualcosa di dolce, quindi la dolcezza nei vini e gli aromi fermentativi – tipici della frutta e prodotti da alcuni lieviti – per l’uomo sono semplicemente più attrattivi».