Il fu laboratorio di pensiero critico C’era una volta in cineforum, cattolico di nascita, comunista d’adozione, travolto dalla frase di Fantozzi sulla Corazzata Potëmkin

Categoria: Cultura

 Quando il cinema era un luogo di confronto, ma anche un mezzo di propaganda Cattolico di nascita e ripreso dal Pci, scomparve insieme alle grandi ideologie

Tullio Camiglieri 25 Aprile 2025 alle 16:38

Per chi ha vissuto la seconda metà del Novecento in Italia, il termine “cineforum” evoca una sala buia, piena di fumo di sigarette, spesso improvvisata in un circolo culturale, in una sezione di partito o in un’aula scolastica; un film in bianco e nero, rigorosamente d’autore e infine un dibattito acceso, che spesso superava la durata stessa della proiezione. Era un rito laico, ma anche profondamente segnato da una dimensione quasi liturgica, dove la visione del film era solo l’inizio di un processo di educazione, riflessione e – inevitabilmente militanza.

Nella realtà il cineforum ha radici cattoliche.

Cineforum, la nascita in ambito cattolico

Dopo la Seconda guerra mondiale, in un’Europa da ricostruire, il cinema apparve uno strumento straordinario per raggiungere le masse. Il frate domenicano Felix Morlion fu uno dei primi a comprendere il potenziale del mezzo. Fondò in Belgio un’iniziativa che chiamò “cineforum”, con l’intento di avvicinare la comunità cattolica al linguaggio cinematografico. Questa sua intuizione colpì don Luigi Sturzo, che lo segnalò ai servizi di spionaggio americani. Morlion fu arruolato e inviato in Italia nel 1944 insieme alle truppe alleate, dove iniziò la sua attività di contrasto alle campagne di proselitismo del Partito Comunista, anche attraverso l’uso del cinema come strumento educativo e di propaganda. Ma se il cineforum nacque in ambito cattolico, fu ben presto adottato e rielaborato anche da altre forze culturali e politiche, in primis dal Partito Comunista Italiano.

Cineforum laboratorio di pensiero critico

Negli anni ’50 e ’60, il Pci comprese l’enorme potenziale del cineforum come strumento di diffusione del pensiero marxista e di educazione politica. Il cineforum divenne così un luogo di incontro tra intellettuali e operai, studenti e militanti, in cui si guardavano i film di Eisenstein, De Sica, Rossellini, Godard, Bergman, tutti registi in grado di affrontare le grandi questioni sociali, esistenziali e politiche. In un’Italia ancora largamente priva di veri spazi di confronto, il cineforum rappresentava un laboratorio di pensiero critico. Spesso, però, la discussione si trasformava in un’arena ideologica: si analizzavano i simboli, si interpretavano le scelte registiche alla luce della lotta di classe, si giudicava il valore del film in base al suo grado di “impegno”. Il dibattito post-filmico, diventava dogmatico, noioso, autoreferenziale: una parodia di sé stesso.

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Il declino del cineforum con Fantozzi…

Il momento in cui questa tensione tra idealismo e pedanteria venne cristallizzata nell’immaginario collettivo italiano fu, senza dubbio, la scena cult del film “Il secondo tragico Fantozzi” (1976), diretto da Luciano Salce. In questa memorabile sequenza, il ragionier Ugo Fantozzi è costretto, insieme a tutti i suoi colleghi, a partecipare a una proiezione della “Corazzata Potëmkin” di Sergej Ėjzenštejn, film simbolo del cinema sovietico e caposaldo dei cineforum impegnati. Dopo ore di visione estenuante e un dibattito infinto e pretenzioso, Fantozzi sbotta: “per me la corazzata Potëmkin è una cagata pazzesca” e la sala travolse di applausi il ragionier Filini.