TANGENTO-POLLI - FACCI: “CI SONO VOLUTI 23 ANNI

Categoria: Cultura

DI RITARDO PER SPIEGARE CHE ‘MANI PULITE’ ILLUSE SULLA SCONFITTA DELLA CORRUZIONE E CHE CRAXI ERA NEL MIRINO SIN DALL’INIZIO” - LA GAFFE DI DI PIETRO SU BORRELLI CHE "SI RIVOLTA NELLA TOMBA”

Libero 25 MAR 2015 13:47

“Fu prodotta la maglietta ‘Anch’io seguo Mani pulite’ o che appesero il primo avviso di garanzia a Craxi in sala stampa (dopo aver brindato a champagne, come accadde anche per l’arresto di Salvatore Ligresti) e che in generale si sentirono parte stessa dell’inchiesta. La verità è che un periodo più conformista di quello non è esistito mai”…

1 - DI PIETRO ALLUNGA LA VITA

Da “Libero quotidiano” - Pare che a Tonino Di Pietro la nuova serie televisiva «1992» non sia piaciuta affatto. Ha trovato poco rispondente alla realtà la ricostruzione degli anni di Tangentopoli, di cui l’ex pm fu grande protagonista. E così, come da consuetudine, è partito lancia in resta all’attacco di Sky: «Fate rigirare Borrelli nella tomba». Peccato solo che Borrelli sia ancora vivo.

2 - PER FARGLI CAPIRE MANI PULITE È SERVITA UNA FICTION

Filippo Facci per “Libero quotidiano”

Grazie lo stesso, anche se con 23 anni di ritardo. Ieri è andata in onda la prima puntata di “1992” (fiction di Sky su Tangentopoli e dintorni) e fa piacere che sui giornali appaiano ormai storicizzate certe verità che al tempo, solo ad accennarle, venivi associato ai ladri e sputazzato per strada. Capitò a chi scrive, ma chissenefrega. È più importante ricordare che qualcuno, già allora, disse ereticamente che era in corso una “falsa rivoluzione”: ed ecco che oggi, cioè ieri sul Corriere, trovi il titolo «Quell’anno 1992 che ci illuse sulla sconfitta della corruzione».

È più importante ricordare che qualcuno, già allora, disse ereticamente che Craxi era nel mirino sin dal principio: ed ecco che oggi, in realtà da tempo, se ne trovano tracce istruttorie tra le carte dell’inchiesta (a Mario Chiesa chiesero subito di Craxi, anche se non era chiamato in causa) oppure trovi passaggi come questo sulla Stampa: «È un Di Pietro a cui luccicano gli occhi alla vista di cinque lettere stampate su un giornale - “Craxi” - perché è lì che vuole arrivare, introduzione a una giustizia redentrice che prima trova i colpevoli e poi le notizie di reato».

Ma c’è anche questo passaggio sul Corriere sempre di ieri: «Tonino si lasciò andare a un’ammissione prudente con Paolo Colonnello del Giorno: «Potrei arrivare a lui... - e in alto tutti sapevamo ci fosse il cinghialone, infame nomignolo che tra giovani cronisti appioppammo a Bettino».

La cosa più difficile non è soltanto spiegare il clima dell’epoca, ma spiegare che ogni dubbio sulla retorica della “gente” era considerato eresia. Un moto popolare, salutare e purificatore che mise d’accordo il 95 per cento degli italiani: questo fu il 1992, e chi non era d’accordo forse aveva qualcosa da nascondere. Oggi, invece, sulla Stampa ritrovi scritto che a quel tempo "non ci sono i buoni contro i cattivi. Non è il bene contro il male". E sul Corriere un cronista dell’epoca scrive della «gente maleducata e velenosa», sottolineando una battuta in cui l’attore Stefano Accorsi dice che «la gente là fuori è orribile, si tratta solo di assecondarla».

Già, quella gente che «giù, per strada, è come era, vigliacca e delirante, pronta a osannare i pm e a tradirli, a blandire Craxi e a bersagliarlo di monetine, perché questa era, ed è ancora, la nostra Italia». Grazie lo stesso, anche se con 23 anni di ritardo. Fa niente se a scrivere queste parole, oggi, sono anche quei cronisti che al tempo sfiorarono il fanatismo con la produzione della maglietta «Anch’io seguo Mani pulite», o che appesero il primo avviso di garanzia a Craxi in sala stampa (dopo aver brindato a champagne, come accadde anche per l’arresto di Salvatore Ligresti) e che in generale si sentirono parte stessa dell’inchiesta.

La verità è che un periodo più conformista di quello non è esistito mai: niente di strano che a sceneggiare una fiction siano stati dei ragazzi che all’epoca erano dei bambini, e niente ricordano. Non c’erano, quando tutti scesero in strada a sostenere Mani pulite davanti al Palazzo di giustizia: i repubblicani coi verdi, il pidiessino Carlo Smuraglia accanto al missino Ignazio La Russa, e i cobas, gli operai e le casalinghe, gli attori e i cantanti, gli impiegati e i geometri, gli insegnanti e gli elettricisti, tutti «fuori dal Palazzo» e «dalla parte della gente» stipata nelle arene televisive, con i lenzuoli alla finestra, le fiaccole, i palloncini.

Saltò in aria Giovanni Falcone e furono sputi, monetine, benzina sul fuoco di una protesta che non aveva nome: una spaventosa resa dei conti tra «onesti» e «difensori del regime», in mezzo niente. Indro Montanelli scrisse «Tempo di tricoteus», un editoriale contro le madame che sferruzzavano gaie sotto le ghigliottine francesi. Alla discoteca Hennessy di Torino organizzavano il Di Pietro party: in omaggio la

Il settimanale Epoca regalava l’Apologia di Socrate ribattezzata Mani pulite. Circolavano anche pubblicità ispirate: «Dopo Mani pulite una bella lavata di testa, Shampoo Clear nuova formula risolve vecchi problemi e nuovi grattacapi». Potevi scegliere tra «Tangentopoli» e «Il Tangentomane», giochi da tavolo per passare un paio d’ore in allegria e magari in galera, ma per finta. Intanto L'Europeo regalava gli adesivi circolari «Forza Di Pietro», Sorrisi e canzoni titolava in copertina «Di Pietro facci sognare».

Il Venerdì di Repubblica classificava il magistrato in questo sondaggio: «Tra questi personaggi chi proporrebbe come santo?». L’antipolitica montava soprattutto in tv. Su Raitre c’era Gad Lerner col suo «Profondo Nord», poi diventato «Milano, Italia». Su Italia Uno c’era Gianfranco Funari col suo «Mezzogiorno italiano». Poi vabbeh, Michele Santoro. Il Paese divenne un groviglio di manette, di malcontento e di retorica. Qualcosa di incredibile, quasi una fiction.