Rivoltatevi contro la solita pigra rivolta di corporazioni e movimenti. W la squola

Categoria: Cultura

E se il preside è un coglione, dicono? E se è un coglione il sindacalista, l’insegnante, il consiglio stesso di istituto, se sono dei gran coglioni gli allievi e magari qualche loro familiare?

di Giuliano Ferrara | 17 Maggio 2015 ore 06:00 Foglio

La scuola in rivolta. Sounds familiar? Sono tutti in girotondo e grembiulino e fiocchetto contro il prepotere del signor o della signora preside. Contro il governo. Contro il Capitale. Contro i sistemi di valutazione. Per il passaggio di ciascuno in ruolo ope legis. Non gli sta bene nemmeno l’appello di Renzi a studiare di più il latino oltre al resto, a curare gli edifici scolastici fatiscenti con i soldi dello stato povero, ad alternare scuola e lavoro, a finirla con le supplenze a rotazione prendendo in ruolo chi ne ha effettivo diritto, a pagare meglio gli insegnanti: vogliamo tutto. Sounds familiar?

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 Vincenzo Bugliani, morto un anno fa, fu militante di Lotta Continua, ideologo antagonista, antipedagogo innamorato di don Milani, negava il suo ruolo di insegnante (che assolse magnificamente tra la gratitudine dei suoi allievi), credeva solo nell’autonomia spirituale dell’adolescenza e della prima gioventù, odiava gerarchie e capitalismo con fanatismo libertario; poi cambiò idea radicalmente, in modo sensato e civile perché il mondo cambia e le idee si giudicano dai loro risultati, diventò un conservatore molto illuminato dall’esperienza e dalla riflessione, scelse l’ecologia dei Verdi-verdi di Firenze, poi l’ecologia umana di Joseph Ratzinger, ma tutto fece perno sull’idea molto poco balzana di incoraggiare un preside coraggioso a rivoltarsi contro la rivolta, a occupare la sua scuola contro gli occupanti, a spiegare ai ragazzi e ai loro genitori che non si doveva perdere tempo, che la scuola serve, che la concorrenza servirebbe se non avessimo una costituzione che la ingabbia nel mito della scuola unica di stato, una specie di universale e conformista Raitre dell’obbligo, in cui non puoi cambiare canale. Don Milani d’improvviso gli apparve per quel che era, un pedagogo autoritario e manesco, un demagogo pauperista, uno che voleva costringere gli allievi a essere liberi secondo il tracciato infernale di Rousseau, e che detestava, suprema belluria, la professoressa a cui scriveva e il ceto medio, allora si portavano solo i bambini proletari. (Bugliani è ricordato in un benemerito libro antologico pubblicato dalle Lettere, casa editrice fiorentina, e curato da sua moglie, la francesista Ivanna Rosi). A tempo perso, si fa per dire, Bugliani aiutò anche a fondare la Gilda, uno dei sindacati che in modo incongruo, invece di fare il suo mestiere di sentinella della buona scuola, si è intruppato nella protesta odierna dei buonissimi, quelli che la scuola l’hanno distrutta a forza di luoghi comuni sulla sua santità pubblica e sulla sua intoccabilità in termini di riforma (solo un serbatoio di assunzioni, al di sopra di ogni valutazione e del merito, fatto per essere separato dalla società e per impartire ordini e circolari mascherati da pronunciamientos rivoluzionari).

Non li sopporto. Non sopporto l’automatismo sciocco delle loro menti. La sintonia in cui si ritrovano con il mondo dei talk show e delle inchieste andanti. Non sopporto la loro incapacità di discernimento, di selezione delle critiche, di formazione dello spirito critico. Non sopporto il loro fronte comune, corporazione e movimento insieme, e tutti contro il signor o la signora preside, con argomenti veramente primitivi. E se il preside è un coglione, dicono? E se è un coglione il sindacalista, l’insegnante, il consiglio stesso di istituto, se sono dei gran coglioni gli allievi e magari qualche loro familiare? Ma che ragionamenti dei miei stivali stanno alla base della rivolta sponsorizzata dai soliti nemici del governo, che giustamente oggi stanno nella sinistra fru fru, e antagonista, e minoritaria, con quel passeggio dei deputati hard core a Piazza del Pantheon, quando avrebbero fatto meglio a chiedere alla Camera che nelle classi ci si alzi in piedi quando entra il docente, come fanno le orchestre all’ingresso del direttore.

Avrei preferito lo slogan “la dura scuola”, sono stato istruito dal gramscismo e crocianesimo di Togliatti, da un partito che evocava lo studio come fatica e duro tirocinio, non come fessa creatività spontaneista. Ma anche la buona scuola mi va bene, l’importante è la simbolica restaurazione del latino predicata dal Grande Boy Scout, e tutto il resto.

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