Siamo tutti mamme irlandesi. E Dublino è un faro di libertà e di eguaglianza per tutti.

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Celebriamo con entusiasmo la vittoria del yes al matrimonio gay, insieme con tutti i partiti irish e con le opinioni nobili giovanili progressive e altre meravigliose certezze coltivate in tutto il mondo occidentale

Non solo unioni civili. Grazie alla vittoria dei "sì", in Irlanda gli omosessuali potranno anche sposarsi (LaPresse)

di Giuliano Ferrara | 24 Maggio 2015 ore 06:00

Quel che penso io non importa. Siamo tutti mamme irlandesi, celebriamo con entusiasmo la vittoria del yes al matrimonio gay, insieme con tutti i partiti irish e con le opinioni nobili giovanili progressive e altre meravigliose certezze coltivate in tutto il mondo occidentale nel segno dell’eguaglianza e della libertà e dell’amore. Oggi l’Irlanda, paese caro a tutti noi nipotini di Nora Barnacle e a tutti noi microliberisti impenitenti e sfrenati, è un faro di luce alto nel mare notturno della contemporaneità. Seguiremo il suo esempio appena possibile, saranno altre lacrime, altri entusiasmi, altre voci altre stanze e altri unanimismi benedetti.

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 Ridefinire il matrimonio a prescindere dal sesso dei contraenti è un’impresa a suo modo grande. Avrà conseguenze colossali: nella giurisdizione, nell’antropologia, nell’ingegneria biologica e genetica, nella schiavitù delle donne portatrici e nella indifferenza di spermifici e banche dati, nella storia sociale e umana e religiosa e mitologica della nostra civiltà. Ma molto grandi, molto più di quanto non si pensi in questa fase di festeggiamenti superficiali per una conquista così “amazing”. Non l’ho mai sottovalutata, fin da quando dopo gli olandesi fu Zapatero a compierla, la grande impresa del nostro tempo, con un tratto di penna che cancellò le “discriminazioni” di genere dal codice civile, e lo fece, come disse, nel nome di una democrazia e di un socialismo “ciudadani”, che riconoscono una sola verità, quella della maggioranza delle opinioni. Nacquero il progenitore A e il progenitore B, al posto della morale di Aristotele e San Tommaso avanzò quella di Pedro Almodovar, e fu l’inizio della grande movida anche su suolo latino.

Il Papa dei criteri non negoziabili fu sconfitto e sostituito da un gesuita scaltro e non judgemental, ma non so fino a che punto. Era un compagno di strada interessante e carismatico, almeno per noi laici non omologati, per gli psicoanalisti rive gauche che la sanno lunga, per le femministe che conoscono la fatica mercenaria di un parto di poveri in favore dei desideri dei ricchi. Ma siamo in pochi, sputtanati dai cretini omofobi, dai residui insopportabili di vecchie culture discriminatorie, per superare le quali invece di trasformare la loro violenta ignoranza in mite ragione e presa sulla realtà si è creduto bene di opporre la pazzia della boda gay al cosiddetto matrimonio tradizionale, quello del lineage, della consanguineità, della progenie o eredità di genere e specie. Si sa, siamo molto civili, abbiamo una illuministica paura del sangue, salvo intrufolarci a raschiare dal seno delle donne un grumo di sangue e a gettarlo come rifiuto ospedaliero.

Irlanda a parte, l’ideologia L.G.B.T. dilaga come testimonianza di una nuova lotta alla schiavitù, si fa programma scolastico, si sottrae al controllo della ragione, si festeggia contro gli intrusi, quelli che vogliono saperne di più e magari capire che senso abbia l’autodefinizione sessuale come ultimo capitolo dell’autodeterminazione culturale e politica. Non tengono più le costituzioni e le corti supreme, non tengono le leggi, i referendum vinti da preti e laici contro scientisti e nuovi faustiani, si smantella tutto quel che c’era prima e al suo posto si mette quel che viene dopo. E’ la logica del nichilismo, bellezza, e non puoi farci niente. C’è solo da sperare che a correggere noi sterilizzatori della tradizione non arrivino i ripopolatori islamici del mondo: lo farebbero con scarsa grazia.

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