Così i partiti etnici e regionali colmano il vuoto lasciato da quelli nazionali

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Non c’è solo il caso dei curdi in Turchia. Recentemente, in Spagna e Italia, è successo lo stesso con Ciudadans e Lega Nord. Idem in Bulgaria e Romania. Cosa hanno in comune e come sono riusciti nella loro metamorfosi

di Maurizio Stefanini | 08 Giugno 2015 ore 17:34 Foglio

Ormai è un fenomeno con una regolarità settimanale. Il 24 maggio si è votato in Spagna, per rinnovare i consigli municipali e le assemblee di 13 delle 17 comunità autonome e Ciudadanos di Albert Rivera è diventato il terzo partito, balzando dallo 0,2 al 6,6 per cento e da 7 consiglieri a 1,527: a livello regionale ha ottenuto anche di più, con il 9,4, ma si è classificato quarto, perché nelle regioni come nei capoluoghi c’erano in più anche le liste di Podemos. Poi, il 31 maggio, si è votato in Italia e la Lega Nord di Matteo Salvini alle regionali ha sorpassato Forza Italia come principale partito del centro-destra. Il 7 giugno è stata la volta della Turchia. Alle elezioni politiche il Partito Democratico del Popolo (Hdp) del curdo Selhattin Demirtas ha superato la soglia si sbarramento del 10 per cento, impedendo all’Akp di Erdogan di conquistare sia la maggioranza qualificata per cambiare la Costituzione sia la maggioranza assoluta per governare da solo. Cosa c’è in comune tra queste tre situazioni? Ciudadanos, o Ciudadans come si dice in catalano, si considera di centro, e il modello dichiarato di Rivera è quello liberal-democratico britannico di Nick Clegg. La Lega è di destra, ed è alleata di Marine Le Pen e della Fpö austriaca. L’Hdp sta a sinistra, ed è già stato definito il “Podemos turco”. Ma tutti e tre rappresentano il caso molto particolare di un partito a base territoriale e/o locale e/o etnica, che a un certo punto si trasforma in nazionale, trovando l’occasione per coprire una precisa carenza di offerta politica.

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Ciudadans era nato tra 2005 e 2006 come lista catalana per protestare contro una deriva del nazionalismo regionalista che veniva tacciata di essere autoritaria e lontana dai veri problemi della gente. Quando però il regionalismo catalano ha iniziato a essere travolto dagli scandali, Ciudadans ha acquisito anche un carattere anti-casta, e quando nel ciclone sono finiti anche Pp e Psoe è diventata Ciudadanos. Per la Lega questo è il terzo tentativo di occupare lo spazio del centro-destra a livello nazionale, dopo le esperienze della Lega italiana federale del 1993, tra lo sfasciarsi della Dc e la discesa in campo di Berlusconi, e il 1995, subito dopo il “ribaltone”. Quanto all’Hdp, ha vissuto recentemente una metamorfosi che lo ha portato da un’identità curda a una nazionale, fino ad agitare le bandiere turche nei comizi e a conquistare il terzo posto a Istanbul. In Turchia è sempre esistita una corrente di sinistra radicale forte nelle università e nei sindacati, ma che finora non era mai riuscita a entrare in Parlamento.

Ma non si tratta di casi isolati. Anche un Bulgaria c’è un Movimento per i diritti e le libertà che fu fondato nel 1990 come espressione di quella minoranza turca che era stata duramente perseguitata dal regime comunista. Col tempo, anche questa si è trasformata fino a diventare un partito liberale centrista sempre più votato anche da bulgari “doc”, quelli che si sentivano a disagio tra la nomenklatura ex-comunista e un centro-destra in presa a continue crisi da cupio dissolvi all’italiana. Alle ultime europee il Movimento per i diritti e le libertà è arrivato al 17,26 per cento e insieme a tre partiti etnici turchi ha eletto Iskra Mihaylova, ex ministro dell’Ambiente, bulgara e ortodossa. Ma anche l’attuale presidente romeno, Klaus Werner Iohannis, è un membro della minoranza tedesca di fede luterana, asceso grazie a una particolarissima operazione di scouting. Esponente del Forum democratico dei tedeschi di Romania, fu eletto nel 2000 sindaco della città transilvana di Sibiu. Per 14 anni esercitò quel ruolo talmente bene che nel 2014 il Partito nazional-liberale gli offrì la segreteria, premessa per una candidatura vittoriosa alla presidenza del paese. In Germania abbiamo l’altro esempio del Pds: il partito erede della Sed, sopravvissuto per 17 anni come forza regionale nell’ex-Ddr fin quando non si alleò con un gruppo di socialdemocratici che con Oskar Lafontaine si erano ribellati contro le riforme di Gerhard Schröder. E ne nacque la Linke, ora partito nazionale.   

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