Matrimoni gay non negoziabili. Il matrimonio gay in America è un diritto. Lo ha deciso la Corte Suprema

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Non più soltanto un fascio contraddittorio di leggi locali esposte ai cavillosi venti della giurisprudenza, ma un diritto universale protetto dalla Costituzione,

da quel quattordicesimo emendamento nato per proteggere gli afroamericani dopo la guerra civile e che ha fatto da base per alcune delle più importanti svolte sociali del secolo scorso

di Mattia Ferraresi | 26 Giugno 2015 ore 17:26

Il matrimonio gay in America è un diritto. Non più soltanto un fascio contraddittorio di leggi locali esposte ai cavillosi venti della giurisprudenza, ma un diritto universale protetto dalla Costituzione, da quel quattordicesimo emendamento nato per proteggere gli afroamericani dopo la guerra civile e che ha fatto da base per alcune delle più importanti svolte sociali del secolo scorso: la fine della segregazione (1954), l’aborto (1973) e ora il matrimonio fra persone dello stesso sesso. Non è un giorno storico, come si dice, a livello dell’accesso al matrimonio per gli omosessuali, ma si tratta di una benedizione concettuale e giuridica inesorabile, un sigillo definitivo apposto sulla base dell’ultimo collante dell’identità americana, la Costituzione. Si capisce che Barack Obama esulti, perché le nozze passano da conquista legislativa a diritto inalienabile: “Le coppie gay e lesbiche hanno il diritto di sposarsi, come tutti gli altri”, ha scritto su Twitter, lanciando l’hashtag #LoveWins, il corrispettivo trionfante del #LoveisLove usato quando la Corte ha aperto la prima, decisiva breccia per il matrimonio gay.

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 E’ andata come era lecito aspettarsi: la Corte ha approvato la decisione di misura, 5 a 4, e il giudice Anthony Kennedy ha fornito ai liberal il voto decisivo e ha scritto la motivazione. Che inizia con una premessa che è il trionfo dell’antropologia della modernità nella sua versione americana: “La Costituzione promette libertà a tutti all’interno dei suoi limiti, una libertà che include alcuni diritti specifici che permettono alle persone, all’interno del reame della legge, di definire ed esprimere la propria identità”. Definire ed esprimere la propria identità è il diritto generale sul quale il diritto specifico del matrimonio ha costruito la propria fortuna culturale e giuridica. Il ragionamento dei giudici si articola secondo quattro principi fondanti. Primo: “Il diritto alla scelta personale sul matrimonio è incluso nel concetto dell’autonomia individuale”.

 Secondo principio: “Il diritto al matrimonio è fondamentale perché sostiene una unione fra due persone che è diversa da tutte le altre in termini di importanza” (Kennedy specifica che si parla di “two-person union”, ma non spiega per quale motivo, venuto meno il criterio del genere, l’unione sia limitata a due soggetti: cosa c’è di speciale nel numero due?).

 Il terzo principio riguarda la “salvaguardia dei figli e delle famiglie”, cosa che secondo la corte funziona meglio nel matrimonio che in qualunque altro  tipo di unione. Infine, Kennedy scrive che il matrimonio è “una pietra angolare del nostro ordine sociale”. Sotto la sacrale protezione della Costituzione, chiunque nega agli omosessuali il diritto al matrimonio “disprezza la loro scelta e sminuisce il loro status di persone”, conseguenza inappuntabile una volta accettata la premessa: l’autonomia individuale, la capacità di definire se stessi in rapporto alla propria coscienza e alla società è il fattore antropologico dominante. Il matrimonio diventa una sovrastruttura senza soggetti specifici, una scatola vuota che massimizza l’ordine sociale e preserva la cura dei figli.

 E’ significativo che i quattro giudici contrari alla decisione abbiano scritto quattro motivazioni diverse. Il conservatore Antonin Scalia, con il suo solito linguaggio sgargiante, ha attaccato direttamente la premessa su cui il ragionamento della Corte è stato costruito, quello del diritto di ciascuno di “definire ed esprimere la propria identità”: “La Corte suprema degli Stati Uniti è retrocessa dal ragionamento legale accorto di John Marshall e Joseph Story agli aforismi mistici dei dolcetti della fortuna”.

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