Ora la Costituzione protegge il tuo diritto all’amore e abbatte il matrimonio

Categoria: Cultura

Ovviamente la decisione della Corte suprema americana sul matrimonio omosessuale come diritto universale di cittadinanza è molto più importante della nuova ondata di guerriglia islamista contro l’occidente

di Giuliano Ferrara | 28 Giugno 2015 ore 06:00 Foglio

Ovviamente la decisione della Corte suprema americana sul matrimonio omosessuale come diritto universale di cittadinanza è molto più importante della nuova ondata di guerriglia islamista contro l’occidente. Per la guerriglia jihadista, si sa, faremo funerali pomposi delle vittime, proclameremo con fermezza la volontà di combattere il terrorismo, e le alte autorità diranno che l’islam con queste violenze c’entra niente. Dunque è una routine, come per i vignettisti e tutti gli altri, alla quale dovremo abituarci: ci fanno guerra, e noi rispondiamo con una penosa dissimulazione, nello stile di un complesso di tribù, quelle occidentali, che ha smarrito completamente il senso di sé, e del proprio sé ha perfino paura. Chiuso. Vedremo che cosa fare e pensare nel prossimo inevitabile capitolo.

Forse c’è un nesso. Ci colpiscono mentre stiamo a prendere il sole in costume, e nel giorno in cui difendiamo al massimo livello, con una sentenza che fa epoca, il nostro cuore sentimentale, e vince l’amore come diritto; e ci colpiscono in nome della loro concezione del sacro come dovere: c’è una dissimmetria che parla chiaro, e non a nostro vantaggio, trattandosi di una guerra in cui un dio, il dio dell’islam, si scatena contro la civiltà matura, e piuttosto decadente, della cultura Lgbt o gender culture.

Andiamo al dunque, allora. Che cosa abbiamo fatto con questa sentenza Obergefell v. Hodges del fatidico giugno 2015 (ratifica costituzionale come diritto non negoziabile delle nozze omosessuali)? Quei cinque giudici americani sono la maggioranza di una corte carismatica, che ha storicamente liberato i neri dai residui segregazionisti di una storia razzista, che ha liberato le donne da un apparato odioso di discriminazione sessista, che ha dato il calcio d’avvio, con la decisione Roe v. Wade (1973), all’annientamento legale, come questione di privacy personale, di un miliardo e qualche centinaio di milioni di bambini concepiti, cresciuti nel seno delle gestanti e poi abortiti per le più varie ragioni, non escluse quelle eugenetiche. Un bagaglio di decisioni molto importante e di controverso segno, quindi.

La decisione della Corte, come ha sottolineato senza saperlo il presidente Obama in un tripudio di demagogico pride arcobaleno, Casa Bianca compresa, “stabilisce ciò che milioni di americani già credono nei loro cuori”. Non c’è distinzione tra credere e sentire, tra elaborazione razionale di un concetto e motivazione sentimentale di un impulso, quale ne sia la natura (in questo caso una loving coalition di buone intenzioni egualitarie). La sede dell’intelletto è la testa, ma fa niente, prendiamo le nostre decisioni sui diritti con il cuore, sul presupposto popolare del cuore censito dai sondaggi. Una versione originale della democrazia liberale.

Per far questo i cinque della maggioranza, trascinati da Anthony Kennedy, si sono appellati al quattordicesimo emendamento, un testo costituzionale che aiutò a stabilire a metà Ottocento, dopo le tempeste della guerra di secessione contro la schiavitù, l’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge in tutti gli Stati dell’Unione, il loro diritto a una “protezione eguale” e a non essere molestati legalmente nella loro libertà, vita e proprietà senza un giusto processo giurisdizionale. Per ottenere la massima potenza simbolica, nonostante non abbia niente a che fare con la questione, la maggioranza della Corte ha fatto appello a uno dei pilastri della libertà e del senso di eguaglianza contenuto nelle varie redazioni della Costituzione americana e del Bill of Rights. Tutti infatti capiscono, ma non con il cuore, che l’eguaglianza dei diritti ha, nel caso del matrimonio, il limite intrinseco, oggettivo, invalicabile, del carattere stesso del matrimonio come unione stabile tra un uomo e una donna aperto alla filiazione. Abbattere questo limite ti può far sentire buono e comprensivo verso un desiderio, ma non è altro che uno snaturamento, per di più attraverso una via legale e non legislativa, non prodotto di sovranità diretta o indiretta, di un’istituzione antica quanto il mondo. E’ una responsabilità verso la storia umana che ha un suo quid, un suo perché intuibile attraverso l’uso della ragione. Ci sono altri modi possibili per affermare diritti alla stabilità nella vita di coppie omosessuali, che non siano il siluramento del carattere del matrimonio civile.

Ma l’obiettivo era quello. Offrire alla gender culture, che minaccia di rifare il mondo da capo e non si capisce bene se nella direzione giusta, il massimo omaggio e definitivo nel campo occidentale: quello della Costituzione americana, la più antica e autorevole, tracciando un solco unico e profondo che conduce dalla lotta alla schiavitù, e dalla definizione egualitaria sacrosanta degli esseri umani come prodotti da uno stesso Creatore con gli stessi diritti, alle nozze gay e alla filiazione artificiale su vasta scala (con annesse schiavitù di nuovo tipo, a partire dall’utero in affitto).

Il capo della Corte Roberts, che è finito in minoranza, ha detto con senso pratico e minimalista, ma efficace: “Potete celebrare il raggiungimento di uno scopo. Potete celebrare l’opportunità di una nuova espressione dell’impegno verso un partner. Potete celebrare la disponibilità di nuovi ammortizzatori sociali. Ma guardate di non celebrare la Costituzione. Non ha nulla a che fare con questa decisione”.

Più duro e ideologico, Antonin Scalia ha aggiunto nella sua dissenting opinion: “Abbiamo invalidato le leggi matrimoniali di metà degli Stati dell’Unione e abbiamo trasformato una istituzione sociale che è stata la base della società umana nei millenni per i Boscimani dell’Africa meridionale come per gli Han della Cina, per i Cartaginesi e gli Aztechi. Mi domando: ma chi ci crediamo di essere?”.

Non è difficile capire che solo un accesso orgoglioso (pride) di follia del cuore poteva far tanto girare la testa ai cinque giudici della maggioranza della Corte, con una decisione in nome della maggioranza sentimentale che avrà conseguenze storiche molto poco sentimentali.

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