Il cinema americano specializzato nell’epica dei cazzari

Categoria: Cultura

L’epica dei cazzari arriva nei cinema. Ha la forma di un film che pare anche ben fatto (non lo vedrò mai, ho altro da fare) e che si chiama “Truth”, cioè verità (presentato alla grande alla Festa del cinema di Roma)

di Giuliano Ferrara | 18 Ottobre 2015 ore 06:27

L’epica dei cazzari arriva nei cinema. Ha la forma di un film che pare anche ben fatto (non lo vedrò mai, ho altro da fare) e che si chiama “Truth”, cioè verità (presentato alla grande alla Festa del cinema di Roma). Dan Rather e Mary Mapes, anchor e produttrice della Cbs, mandarono in onda l’8 settembre del 2004, in fretta e furia, un reportage televisivo (60 minutes II) in cui si affermava che George W. Bush aveva sfruttato legami familisti di vario genere per fare la bella vita durante il servizio nella National Guard all’inizio degli anni Settanta (gli anni del Vietnam). Mancavano due mesi all’elezione presidenziale, quando le accuse vennero elevate nel tribunale mediatico più influente d’America. Erano accuse basate su documenti e fonti che si rivelarono farlocche o almeno non verificabili (le due cose, il farlocco e l’inverificabile, nel buon giornalismo dovrebbero coincidere). Risultato: Mary Mapes fu licenziata, Dan Rather lasciò la postazione e chiuse la carriera, qualche mese dopo la trasmissione fu obliterata. Bush fu rieletto trionfalmente, anche se a Gianni Riotta non l’hanno ancora comunicato.

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Il famigerato web per una volta funzionò da tribunale del riesame, con funzione garantista. I blogger conservatori, amici dell’amministrazione repubblicana e partigiani della rielezione di Bush contro John Kerry, che a sua volta era stato smerdato dalla campagna sul suo carattere in guerra, quella sì verificabile e verificata, si scatenarono. Imposero alla Cbs lo scrutinio serio di quanto era andato in onda, chiesero e ottennero che il pubblico fosse messo in condizione di giudicare su base documentale e testimoniale seria. La cosa non poteva avvenire. O perché il famoso anchor e la sua produttrice si erano comportati da cazzari, facendo un lavoro sciatto e privo di riscontri, oppure perché, worst case scenario, si erano messi a disposizione dell’elezione di Kerry al posto dell’odiato Bush, il W. della famigerata (e santissima) guerra in Iraq. La faccenda non fu approfondita, non si verrà mai a capo della malizia presunta dei due superliberal televisionisti, perché la storia finì con il mito del giornalismo investigativo in fuga con la coda tra le gambe (e i due prosecutor di 60 minutes hanno ammesso di aver lavorato in fretta e male, pur pretendendo che si creda loro sulla parola, parola di re).

Ma il cinema americano è specializzato in fregnacce che volano sulle ali di sceneggiature mediatiche. Il Watergate e i Pentagon Papers avevano tanti anni fa inaugurato un’epica della ricerca di verità “scomode” (che aggettivo stronzo, se riferito a realtà morali invece che a una sedia male impagliata), poi passata a nutrirsi della pedofilia dei preti e delle mene arcivescovili in funzione di cover up. Potevano risparmiarsi una accorta rivisitazione mitopoietica di uno scandalo liberal e perbenista nel cuore dell’Upper West Side di Manhattan? No, non potevano. E si è trovato il modo di girare un film furbissimo, accolto a New York dai gridolini entusiasti della crema sociale democratica, un film che non prende parte ma prende parte. Dare a Mary Mapes il volto eccelso di Cate Blanchett e al vecchio e segnato Dan Rather la facies del vecchio e segnato Robert Redford è già un giudizio sul piano dei segni: una carognata o una sciatteria diventa improvvisamente una favola ammaliante. La mitica Cbs diventa un potere forte in grado di fermare la verità, cioè di trasformare i desideri dei liberal in fatti. Il cinema era nato per l’ironia e la grandezza intellettuale e artistica, e quanto al giornalismo nello splendore dei non so quanti millimetri basta pensare allo Hearst di Orson Welles (“Quarto potere”) e alla prima pagina di Billy Wilder, ma poi il cinema è morto, non per le grandi folle credulone, in braccia alla passione hollywoodiana per l’epica, appunto, dei cazzari. Questo James Vanderbilt sarà anche bravo, come dicono, e le due star sono di prima classe. Ma quando andrete inesorabilmente a vedere il film ricordatevi che Bush, fino a prova contraria, ha fatto il suo dovere nella Guardia Nazionale, e che Obama, fino a prova contraria, ha dovuto riconoscere che andarsene dall’Afghanistan, come da lui programmato meticolosamente, significherebbe lasciare il passo ai tagliagole. Sono verità, quelle sì, molto scomode, più scomode di uno sgabellino sfondato.

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