Debiti in cambio di azioni, l’entrata soft dello Stato nell’economia. Parla Cipolletta

Categoria: Economia

L'Iri? Un errore resuscitarlo, mancano le competenze. L'Europa in 20 anni di euro non ha fatto un passo avanti

Gianluca Zapponini 23.4.2020 formiche.net lettura 4’

Il presidente di Assonime spiega la proposta delle spa italiane. Alle aziende serve poter investire, non contrarre nuovi debiti con le banche. Un fondo di investimento pubblico può entrare nel capitale e accompagnare l'azienda verso la ripresa. L'Iri? Un errore resuscitarlo, mancano le competenze. L'Europa in 20 anni di euro non ha fatto un passo avanti

L’emergenza sanitaria legata al coronavirus ha scatenato una crisi economica senza precedenti, in Italia e nel mondo. Questo è chiaro e noto a tutti. Forse però un po’ meno chiaro è la strada per uscirne. Una di queste la offre Assonime, l’associazione delle società per azioni, promotrice in questi giorni di una proposta con cui sostenere la ripresa del sistema produttivo nel lungo periodo. D’altronde, è il ragionamento di fondo, le misure messe in campo dal governo vanno bene, ma prima o poi esauriranno la spinta.

Di qui la proposta di Assonime, ovvero convertire i debiti delle aziende in crisi di liquidità ma con una prospettiva di crescita in capitale di rischio attraverso la creazione di un fondo di investimento pubblico creato ad hoc. Un nuovo soggetto, temporaneo e a capitale prevalentemente pubblico, che aiuti il sistema ad assorbire l’eccesso di indebitamento favorendone la ricapitalizzazione. Formiche.net ne ha parlato con Innocenzo Cipolletta, che di Assonime è presidente.

Cipolletta, da Assonime la classica proposta di ampio respiro. Come nasce?

Noi ci rivolgiamo alle imprese fortemente indebitate. La liquidità prevista dal governo è sotto forma di prestiti e dunque si tratta di debiti per le aziende. Questo vuol dire che nei mesi a venire ci sarà una sottocapitalizzazione delle imprese, impedendone gli investimenti. Ma investire è necessario per uscire dalla crisi. Gli investimenti sono necessari ma come fa a farli se oltre ad avere debiti pregressi dovrà rimborsare anche i prestiti concessi con la garanzia pubblica?

E qui entra in gioco la vostra proposta…

Esatto. Il debito, per le imprese che hanno una prospettiva, viene trasformato in capitale. E per farlo si può ricorrere a un istituto pubblico, che temporaneamente entra in minoranza nell’impresa. Attenzione, il fondo pubblico, dunque lo Stato, non entra per controllare l’azienda, entra per sostenerla, per farla vivere, lasciando che i manager già presenti, facciano il loro lavoro. Ed è un ingresso a tempo, pro tempore: messa in sicurezza l’azienda, o quotata in Borsa, lo Stato se ne va, in punta di piedi. Ci sono anche dei risvolti bancari, favorevoli al sistema del credito.

Sarebbe?

In questo modo si può evitare che le banche si ritrovino prestiti in sofferenza o tanti fallimenti delle imprese cui hanno concesso prestiti.

Questa proposta però potrebbe impattare sul nostro debito pubblico, già sotto stress sui Titoli di Stato e ora a rischio incremento dopo i decreti anti-Covid del governo, che sono in disavanzo…

Sì, un impatto sul debito c’è. Ma è limitato, e comunque sotto una certa linea perché si tratta di investimenti in capitale non di spesa pubblica: la nostra idea in Assonime è quella di salvare imprese che hanno problemi di liquidità ma con una prospettiva di crescita, non vogliamo salvare aziende morte.

Nei giorni scorsi si è parlato di resuscitare quello che era il vecchio Iri, seppur in forme diverse. Anche qui parliamo di ruolo dello Stato nell’economia, in fin dei conti…

Non facciamo confusione, anzi direi che è il contrario. L’Iri era una struttura che entrava al 100% e gestiva direttamente l’impresa. Qui parliamo di accompagnare temporaneamente l’impresa con una quota di minoranza, sufficiente a garantire gli investimenti. Lo hanno fatto anche negli Stati Uniti, con l’industria dell’auto, ai tempi della grande crisi del 2009.

Ma lei un ritorno dell’Iri come lo vedrebbe?

Non ce ne è bisogno, sarebbe un errore. Per fare certe cose servono competenze e noi non le abbiamo più, semmai ne abbiamo avute. Non nego che l’Iri possa aver avuto in passato dei meriti, però erano tempi diversi, in cui bisognava ricostruire da zero. Qui parliamo di una fase, è diverso.

Parliamo dell’Europa. Mes, eurobond, quanti litigi. Eppure dinnanzi a una crisi di tale gravità, l’unione farebbe la differenza…

Siamo tutti un po’ delusi dall’Europa. La mia in particolare sta nel fatto che dopo 20 anni che abbiamo l’euro non abbiamo fatto passi avanti. Abbiamo avuto due crisi gravissime, questa odierna e quella del 2008. E non abbiamo fatto passi in avanti. L’Europa o si integra o si integra. Io non sono un fan sfegatato della condivisione del debito, credo però che l’Europa debba integrarsi su diplomazia, Difesa e molto altro. Bisognerebbe spogliare gli Stati di certe prerogative e poi passarle all’Ue, questa sarebbe la strada giusta.

Del Mes che ne pensa? Va davvero temuto?

Non credo. Si tratta di uno strumento facoltativo, non un obbligo. Se il governo ha delle soluzioni migliori le usi, la decisione è politica. Però se ci sono degli aiuti cui ricorrere, mi chiedo perché non utilizzarli.