Pensioni, la Consulta ignora l’equità tra le generazioni

Categoria: Economia

Non è affatto vero che la sentenza obblighi a ripagare tutto a tutti. E la Corte lasci tagliare almeno quelle “regalate” a spese dei giovani

Oscar Giannino, Linkiesta In partnership con Leoni Blog 8/05/2015,  

All’indomani della sentenza della Corte costituzionale che ha bocciato il blocco nel 2012 e 2013 dell’indicizzazione delle pensioni superiori a tre volte il trattamento minimo, siamo stati i primi a esporre le nostre forti critiche alla sentenza. Nei giorni successivi, non siamo rimasti soli. Diverse voci, commentatori, economisti, giuristi, si sono aggiunte approfondendo le numerose e profonde contraddizione che si leggono nella decisione della Corte. L’indifferenza all’articolo 81 della Costituzione che prevede il bilancio pubblico in equilibrio, rispetto all’attenzione solo data agli articoli 36 e 38 per la natura di “retribuzione differita” della pensione. Il contrasto con sentenze precedenti, nelle quali la Corte aveva giustificato interventi anche retroattivi del legislatore su trattamenti economici. Il difetto in motivazione, poiché la Corte afferma che il motivo dell’intervento sulla perequazione non appariva adeguatamente giustificato da parlamento e governo, mentre a chiunque è chiaro che gli interventi di finanza pubblica dall’estate 2011 alla primavera 2012 avvenivano mentre l’Italia era sul ciglio del baratro e del commissariamento da parte della Trojika.

La Corte ha dimenticato non solo il cambio di sistema – da retributivo a contributivo – per i più giovani, ma anche il brusco innalzamento dell’età pensionabile

Ma infine e soprattutto, l’assenza di ogni riferimento all’equità intergenerazionale. Poiché, in un sistema previdenziale a ripartizione, nel quale le pensioni in essere sono pagate dai contributi di chi oggi lavora e non da quelli versati in precedenza da chi oggi è pensionato, tornare a rimborsare quei quasi 5 miliardi bloccati nel 2012 e 2013, e continuare a coprirne gli effetti per il 2014 e 2015 e anni a venire, significa dover reperire 12-13 miliardi di euro a carico di chi le pensioni retributive di cui si parla non le avrà mai, e a stento riuscirà ad averne tra molti anni di contributive, ma molto più basse. E non si ferma a questo, l’aspetto di equità tra generazioni che la Corte ha deciso di ignorare. Perché ha dimenticato che lo stop alle perequazioni a quelle pensioni già erogate si accompagnava non solo al cambio di sistema – da retributivo a contributivo, come detto – per i più giovani, ma anche al brusco innalzamento dell’età pensionabile, per alcuni milioni di italiani che contavano fino al giorno prima di andare in pensione a breve.

Non è affatto vero, che la sentenza obblighi a ripagare tutto a tutti

Oggi che si tratta di fronteggiare le conseguenze della sentenza, ora che il governo deve decidere a chi e come garantire il rimborso, la strada non è obbligata. Non è affatto vero, che la sentenza obblighi a ripagare tutto a tutti. Le strade possibili dipendono esattamente da quale sia l’opinione politica prevalente sulla decisione della Corte. Per questo abbiamo ripetuto le nostre critiche. Perché ci auguriamo che governo e parlamento ne tangano conto.

La destra, aliena ormai dal ragionare sul merito delle cose e interessata solo a un’opposizione frontale contro il governo, batte la strada del rimborso integrale a tutti. E se non tornassero i conti – visto che nel frattempo siamo già di nuovo sul filo di un possibile 3% di deficit e la Ue tra pochi giorni a quanto pare dirà no anche alla reverse charge sull’Iva decisa dal governo (lo avevamo avvisato, non ha ascoltato) con altri 700 milioni di euro da coprire in questo stesso 2015 – tanto peggio per Renzi, pensa l’opposizione. No, tanto peggio per l’Italia e per noi tutti, ci permettiamo di replicare, se cittadini e contribuenti saranno ancora una volta obbligati per cause di forza maggiore a mettere vieppiù mano al loro esangue portafoglio.

Se per rispettare la decisione ha senso provvedere a un rimborso dei trattamenti di poco superiori a tre volte il minimo Inps, non ha senso farlo per quelli 5, 6, 7 e 10 o più volte superiori

La sentenza della Corte è invece l’occasione per riaffermare il principio al quale la Corte è rimasta sorda. Se per rispettare la decisione ha senso provvedere a un rimborso dei trattamenti di poco superiori a tre volte il minimo Inps, non ha senso farlo per quelli 5, 6, 7 e 10 o più volte superiori. Lo ha detto fuori dai denti il sottosegretario al Mef Enrico Zanetti. E secondo noi ha fatto bene. Salvini ha replicato che è un furto. Ma al contrario è un furto a chi ha meno, molto meno, chiedere oggi di reintegrare trattamenti previdenziali che sono multipli del reddito medio e mediano degli italiani da una parte. E che, soprattutto, non sono affatto commisurati, in quanto pensioni retributive, ai contributi versati mentre si lavorava. Tranne un 7-8% di trattamenti previdenziali retributivi erogati oggi infatti a chi ha avuto retribuzioni alte e altissime nel più della carriera lavorativa, in tutti gli altri casi la pensione collegata ai soli ultimi anni di stipendio è un premio rispetto ai contributi versati. Senza contare poi le centinaia di migliaia di pensioni incassate oggi da chi apparteneva a fondi come quello dei lavoratori elettrici, o postelegrafonici, o agricoli, i cui trattamenti previdenziali retributivi, maturati grazie alle norme di patronage politico degli “allegri” decenni alle nostre spalle, possono essere pari anche a multipli vertiginosi dei contributi versati.

Potrebbe essere l’occasione giusta anche per una operazione-giustizia di revisione almeno di quei trattamenti eccessivamente “regalati”

Oltre a un rimborso parziale rigorosamente a scalare al crescere del multiplo del trattamento minimo, dunque, questa potrebbe essere l’occasione giusta anche per una operazione-giustizia di revisione almeno di quei trattamenti eccessivamente “regalati” a spese, ripetiamolo, di chi oggi ha la certezza di riscuotere nel suo futuro molto meno, sempre che riesca a lavorare.

Non sappiamo se la politica avrà la forza di una simile scelta, visto che in ballo ci sono comunque oltre 5 milioni di pensionati. Ma quand’anche, com’è ovvio, i partiti dovessero guardare innanzitutto ai consensi invece che al merito di una “vera” giustizia tra generazioni, allora dovrebbero bastare due conti per sapere che i milioni di italiani chiamati con altri sacrifici – contributivi o di ulteriore aggravio tributario – a rimpinguare redditi previdenziali superiori alla media, sono più numerosi di coloro il cui solo ed esclusivo diritto è stato affermato dalla Corte. Diceva Lord Bowen che piove sul giusto e sull’ingiusto: ma sul giusto di più, perché l’ingiusto gli ruba l’ombrello. Ecco, aggravare ancora gli oneri a chi ha meno è proprio come levar loro anche l’ombrello, dopo che già offriamo loro un futuro italiano di pioggia fitta senza facili schiarite

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