Corte da iudex in causa propria

Categoria: Economia

Servono gli alti principi e anche il loro portafoglio

di Cesare Maffi Italia Oggi, 18.5.2015

Come avrebbe potuto diversamente comportarsi la Corte costituzionale, nel dichiarare illegittimi i tagli alle pensioni, l'ha in varie circostanze rilevato Sabino Cassese. Avrebbe potuto ripetere il monito già operato in precedenza in tema di pensioni; oppure stendere una sentenza additiva di principio, lasciando a governo e Camere il compito di provvedere; oppure graduare gli effetti della pronuncia sulla base di scaglioni e soglie.

La scelta è stata invece paralizzante per il governo. All'evidenza, v'era chi pensava che a palazzo della Consulta si potesse riprendere quanto deciso con la sentenza n. 10 di quest'anno (cosiddetta Robin tax), con la quale si facevano decorrere gli effetti, comportanti una rilevante spesa per l'erario, dalla pubblicazione e non già retroattivamente. Il motivo allora addotto era palese: consentire «al legislatore di provvedere tempestivamente al fine di rispettare il vincolo costituzionale dell'equilibrio di bilancio, anche in senso dinamico, e gli obblighi comunitari e internazionali connessi, anche eventualmente rimediando ai rilevati vizi della disciplina».

Cassese sostiene che l'equilibrio di bilancio, previsto dall'articolo 81 della Carta (come riscritto nel 2012), impone di soppesare i sacrifici, conculcando prestazioni non più sostenibili. Lasciamo da parte la discussione sia sul merito della prevalenza o del contemperamento dell'articolo 81, sia sul fatto che determinati diritti si possano valutare pesandoli con l'esborso provocato allo Stato. Che non ci sia identità di vedute al riguardo si vede bene tanto dalla citata sentenza n. 10 ben diversa dalla recente n. 70 sulle pensioni, quanto dalla spaccatura verticale fra i giudici costituzionali nel voto (finito pari, con prevalenza del presidente, nella sentenza n. 70). Consideriamo invece alcuni precedenti esternati da Cassese nel suo diario Dentro la corte (cfr. ItaliaOggi, 12 e 13 maggio).

A un certo momento egli annota la richiesta (meglio definirla un'estesa rivolta) di ben 1.280 magistrati di dichiarare incostituzionali alcune norme che riguardano i soli magistrati o i magistrati con altri pubblici dipendenti. Quando la Corte interviene dando ragione ai magistrati, Cassese rileva che si tratta di «conclusione positiva per i magistrati, negativa per il paese». La decisione rileva un «delirio di onnipotenza dei magistrati, che pure sono i dipendenti pubblici meglio retribuiti». Poi malignamente e sconsolatamente aggiunge: «Sospetto che qualcuno alla Corte abbia pensato al proprio stipendio (un mio collega che affetta disinteresse mi chiede di quanto è stato depauperato dalla legge, al netto, mensilmente il nostro stipendio)».

Pure in altre circostanze Cassese segnala come la Corte si sia espressa quale iudex in causa propria (per esempio, sul «taglio alle pensioni più alte»). Non solo: aggiunge che «qualcuno dei più favorevoli alla decisione di illegittimità costituzionale aveva promesso che la Corte non avrebbe adeguato alla propria decisione le proprie pensioni», ma poi «così non è stato». Vuoi vedere che, gratta gratta, dietro altisonanti sentenze di palazzo della Consulta non stanno nobili considerazioni di princìpi di diritto riguardanti interessi altrui, bensì più banali considerazioni di portafogli proprio?

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