C’era una volta la piccola borghesia, la crisi l’ha spazzata via

Categoria: Economia

In otto anni, sette milioni di persone non fanno più parte del ceto medio. Che ha imparato a tagliare il superfluo e sceglie di investire sui figli

Fabrizio Patti Linkiesta, 22.7.2015

La crisi è «veramente finita» ma ha creato cicatrici tali da mettere a rischio il sistema democratico, perché il ceto medio è stato letteralmente spazzato via. Per questo sono benvenuti gli annunci di taglio delle tasse sulle prime case, che proprio al ceto medio ridanno fiato. Con una sintesi brutale, è questo che dice l’indagine sul Risparmio 2015, realizzata da Intesa Sanpaolo e il Centro Einaudi di Torino.

Risparmio in ripresa, redditi a picco

Cominciamo con le buone notizie: la percentuale delle famiglie che riescono a risparmiare è salita, dal 38% del 2012 al 43% del 2015, con un’accelerazione nell’ultimo anno. Ritorna a salire, dopo anni di calo, la quota di chi torna a investire in borsa. Aumenta la fiducia nel risparmio gestito (dal 53,5% nel 2005 all’87,4% di oggi) e gli investitori passano dal 9% al 12% degli italiani. Crescono gli investimenti con un’orizzonte temporale di oltre i 3 anni, segno che la paura di un crollo dei valori azionari si è allontanato, anche perché le azioni a Piazza Affari nel 2014 hanno avuto rialzi medi del 9% (dato che il Centro Einaudi calcola considerando un portafoglio finanziario modello), il dato migliore in Europa.

ceto medio

Quanto basta per far dire a Gian Maria Gros-Pietro, presidente del consiglio di gestione della banca, che «il rapporto è la certificazione del momento di svolta che stiamo vivendo. Le aspettative positive erano fondate. La crisi è veramente finita e si comincia a pensare in modo virtuoso». Ma, come aggiunge lo stesso Gros-Pietro, nella conferenza stampa al 31esimo piano del nuovo grattacielo di Intesa Sanpaolo a Torino, «questa virtù è stata messa alla prova dalla discesa dei redditi».

Le famiglie italiane che appartengono alla classe media sono scese dal 2007 al 2015 di tre milioni, gli individui che le compongono di sette milioni

Che non è stata - e che continua a non essere - una discesa da poco lo dicono i dati sul ceto medio. Le famiglie italiane che appartengono alla classe media (cioè quelle con un reddito tra il 75% e il 125% del reddito mediano di 2.434 euro) sono scese dal 2007 al 2015 di tre milioni, gli individui che le compongono di sette milioni, quanto la somma degli abitanti di Emilia-Romagna e Toscana messe insieme.

Addio ceto medio

Dal 2008 al 2014 il reddito disponibile (reddito meno tasse) è sceso del 16%, se si considerano i valori costanti. Non c’è stato un crollo generalizzato, sottolinea il curatore dello studio, Giuseppe Russo, economista del Centro Einaudi, ma un assottigliamento della classe media, perché hanno continuato a scendere le famiglie con redditi tra i 1.500 e i 2.000 euro, mentre salivano quelle tra i 1.000 e i 1.500 euro. Durante la crisi, di conseguenza, si è anche ridotta, dal 54 al 42%, la percentuale di individui appartenenti alla classe media che sono riusciti a risparmiare.

Anche l’indagine sulla percezione soggettiva mostra risultati inequivocabili: le persone intervistate pensano che il ceto medio quello che ha perso più rappresentanti.

Inoltre, in un solo anno, dal 2014 al 2015, è salita dal 9,9% al 13,3% la percentuale di chi ritiene di avere un reddito insufficiente o del tutto insufficiente. E, soprattutto, è continuata a crescere quella di chi pensa di avere un reddito «appena sufficiente» per vivere; nello scorso anno la percentuale è salita di 2,5 punti, mentre rispetto al 2011 la salita è di ben sette punti, a scapito di chi pensa di avere un reddito «sufficiente».

La sofferenza del ceto medio, ricorda Salvatore Carrubba, presidente del Centro Einaudi, è un fenomeno che non riguarda solo l’Italia ma tutto il mondo occidentale. «Per la prima volta dalla Seconda Guerra mondiale i rappresentanti del ceto medio dichiarano di vivere peggio dei propri genitori. Questo blocco dell’ascensore sociale significa una cosa: che la società è meno libera e meno aperta». Il saldo tra miglioramenti e peggioramenti è negativo per il 21% degli intervistati dell’indagine, percentuale che sale però al 64% se si considerano i 18enni.

Ma l’allarme che il presidente di Intesa lancia è anche politico, così come politico è il supporto al governo Renzi. «Il ceto medio  il fondamento della democrazia dell’Occidente. Dal ceto medio, se l’ascensore sociale funziona, emergono le forze vive di un Paese. Ma se queste non emergono, si aprono gli spazi ai populismi e agli estremismi», continua Gros-Pietro, che associa subito il tema del ceto medio a quello, caldo, della tassazione della casa. «Il 60% dei risparmi degli italiani è in attività reali e di queste l’85% è rappresentato dagli immobili. Quindi, la metà dei risparmi degli italiani è rappresentata dalle case, per lo più dove si vive. Questa ricchezza non è alienabile, senza traumi. È sembrato per un certo momento che le imposte sulla casa potessero essere aumentate senza conseguenze. Per questo l’annuncio di rivedere le tasse è un’idea che, parlando a titolo personale, mi sembra politicamente corretta».

Il taglio della Tasi, spiega il capo economista di Intesa Sanpaolo, Gregorio De Felice, rispondendo a una domanda de Linkiesta, «non si rifletterà tanto sul mercato degli immobili - e la reazione positiva dei titoli in Borsa legati all’immobiliare è stata esagerata - quanto sul reddito delle famiglie. Come per il bonus degli 80 euro abbiamo dovuto aspettare per vederne gli effetti, anche per le tasse vedremo gli effetti solo quando il taglio sarà visto come reale e permanente. Deve entrare nella testa degli italiani».

Il nodo delle case

L’indagine di Intesa Sanpaolo e del Centro Einaudi insiste molto sulla casa come aspetto di erosione del reddito. «Se consideriamo le spese per la casa, esse sono cresciute di 15 punti percentuali rispetto alla media del paniere. Oltre a questo, tra il 2011 e il 2015 le imposte sulla casa sono aumentate del 115 per cento. Si tratta di due variazioni sensibili, non solo perché la casa di abitazione è un bene insostituibile, ma anche perché per il ceto medio italiano la proprietà di una o anche di due o tre case rappresenta una conquista privata di elevato contenuto patrimoniale, oltre che essere vissuta come uno status symbol».

Tutte le difficoltà del settore immobiliare sono …, «un puzzle non da poco in Paese, come il nostro, dove gran parte delle famiglie che affronta quotidianamente i problemi di liquidità generati dalla crisi è anche proprietaria di immobili».

Nonostante una soddisfazione minore sull’investimento sulla casa, una quota non irrilevante di famiglie desidera aumentare ulteriormente la propria «esposizione in immobili»: quest’ultima passa dal 5,7 per cento del 2013, al 6,1 del 2014, al 7,3 del 2015 (dato che comprende sia coloro che intendono acquistare per mettere a reddito, 2,6 per cento, che coloro che intendono acquistare per sé o la famiglia, 4,7 per cento).

Scegliamo di investire sulla casa per ragioni valoriali, anche se sarebbero più convenienti altri investimenti

Secondo lo studio, «ci troviamo di fronte a risparmiatori che hanno acquistato maggiore consapevolezza dei rischi che caratterizzano anche gli investimenti immobiliari, ma per i quali la casa assume connotazioni valoriali che vanno al di là degli aspetti meramente finanziari: per gli intervistati è ancora importante abitare in una casa di proprietà, così come lasciarla in eredità ai propri figli. Questi aspetti valoriali promettono di rimanere una determinante fondamentale della domanda di abitazioni da parte delle famiglie, che altrimenti potrebbero, d’altra parte investire in titoli del comparto immobiliare invece che contrarre un mutuo per comprarsi la casa».

I settori della previdenza integrativa e della Borsa sono in effetti ancora molto poco frequentati, in gran parte perché semplicemente non c’è liquidità. «Mi sarei aspettato un aumento delle sottoscrizioni di fondi pensione - nota Giuseppe Russo -. L’idea che le pensioni future non sono generose è chiara agli italiani, ma non viene affrontata in concreto».

La classe media impara dalla crisi

Questo non significa che gli italiani non stiano pensando al futuro, soprattutto dei propri figli. I genitori della classe media presagiscono tempi non semplici per i figli, che saranno in vantaggio su di loro solo riguardo alla facilità di studiare. «È auspicabile - si legge nello studio - che queste aspettative vengano a mitigarsi con la ripresa economica, ma nel frattempo esse inducono a comportamenti reali di risparmio a favore dei figli: il 26 per cento del campione (con figli) sta mettendo da parte dei denari per pagare loro gli studi, anche all’estero; il 13 per cento sta accantonando per acquistar loro una casa; il 7 per cento sta mettendo da parte i soldi per avviare un’attività da lasciare ai figli; il 22 per cento della middle class sta accumulando comunque con la finalità di lasciare ai figli un’eredità».

Mutamenti di priorità che si vedono anche nei consumi. «È in corso una spending review dei bilanci familiari», come nota De Felice. Il 25 per cento degli intervistati ha tagliato sull’acquisto di automobili, il 60 per cento su vacanze, alberghi e ristoranti, il 35 per cento sugli spettacoli, il 24 per cento ha rinunciato a cure mediche private. «Ma il punto è probabilmente più complesso - nota lo studio -. La crisi ha dato la sensazione di una svolta che ha determinato cambiamenti nei modelli di consumo: di conseguenza, le persone si sono trovate costrette a rivedere la priorità dei valori. Se i tagli all’abbigliamento e agli accessori arrivano quasi al 50 per cento, la riduzione delle spese per lo sport e le attività ricreative è compresa invece tra il 5 e l’11 per cento ed è la minore in assoluto: la vendita delle biciclette ha superato, per la prima volta in quasi un cinquantennio, quella delle automobili. La middle class spende e spenderà di meno, ma si riscatterà con la qualità e la consapevolezza della spesa. Il processo è pienamente in corso: non si arresterà neanche con la ripresa, ma potrebbe anche rappresentare lo spunto per occasioni di iniziativa e di investimento».

Quando la crisi sarà finita gli italiani del ceto medio vorranno spendere per la cura di sé stessi e della famiglia, segnale di quanto siano stati duri gli effetti della recessione. Vorranno anche cambiare automobile, sistemare la casa e aiutare la famiglia dei propri genitori. Una parte non piccola (16%) ritiene probabile anche comprare una nuova casa, anche se solo il 4% ne è certo. Le case sono ancora un grande punto di domanda, ma il potenziale è grande. «Se tutti i desiderata dovessero realizzarsi - conclude l’indagine - questo corrisponderebbe a una domanda di 2,4 milioni di abitazioni e a un’offerta in vendita di circa 800mila abitazioni. Si consideri che in tutto i 2014 le transazioni in edilizia abitativa, in tutto il 2014, sono state poco più di 400mila».

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