Bce, Draghi detta le condizioni alle banche popolari

Categoria: Economia

La Bce fissa i paletti alla fusione Bpm-Banco Popolare: è la conferma che nell’era dei poteri imperiali di Eurotower nulla sarà più come prima. Le banche popolari italiane dovranno rafforzarsi, cambiare la governance, imparare a gestire meglio i rischi su credito. Banca Carige e Ubi Banca sono già in cerca di alleati, Bper ci pensa, gli altri si adegueranno a seconda delle prossime mosse di Bpm e Banco Popolare

Di Luca Spoldi, Affariitaliani, 20.3.2016

Banche popolari: a parole tutti vogliono convolare a “giuste nozze”, trattative vengono segnalate da mesi dalla stampa italiana, il governo fa pressione perché il settore si ristrutturi e si rafforzi, ma la resistenza da parte degli “ultimi giapponesi” di un’epoca che fu, dove ciascun borgo si faceva la propria banca, per “valorizzare il territorio” (naturalmente, signora mia!), formuletta magica che se fosse mai stata tradotta a clienti e investitori avrebbe suonato più o meno così: “per consentire alla politica locale, e nazionale, di decidere come e a chi distribuire il credito”.

Erano i “bei tempi di una volta”, quando Banca d’Italia stampava lire, il Tesoro pure emetteva i suoi bigliettini di carta colorata (le 500 lire, ricordate?) e se per caso a furia di dare malamente il denaro solo a qualche “amico degli amici” la banca faceva fallimento, nessuna paura: si ricorreva a “operazioni di sistema” perché, in fondo, tutto era garantito dallo stato e uno stato, si diceva, non può fallire.

Poi sono arrivati l’Unione europea, nella quale l’Italia ha sempre contato come il fante di picche, l’euro, che ha spostato il potere di battere moneta dalle singole banche centrali nazionali alla Bce, e da ultimo l’unione bancaria, con la Bce che è diventata anche lo “sceriffo” unico delle banche dell’eurozona, sottoposte per di più alle regole del “bail in”, che vietano ogni intervento dei governi se prima non si sono addossati i costi della crisi dei singoli istituti ai suoi azionisti (come è sempre avvenuto), obbligazionisti (potendo la Bce decidere di trasformare le obbligazioni in azioni o sospendere il pagamento degli interessi sulle stesse) e correntisti (sopra la soglia dei 100 mila euro a persona).

Ed ecco che improvvisamente la strada per il “risiko bancario” popolare italiano si è fatta di colpo molto più complicata, come hanno scoperto Bpm e Banco Popolare, invitate formalmente dagli sceriffi di Mario Draghi a trasmettere entro un mese il piano industriale pluriennale e la bozza dello statuto della nuova banca che nascerà post-fusione, ad adottare una governance “chiara ed efficiente”, in particolare in relazione al funzionamento degli organi di gestione (assemblea, consiglio di amministrazione e comitato esecutivo) e ad avere una forte posizione in termini di capitale e asset quality sin dall’inizio.

Chi si era cullato nell’illusione che Francoforte avrebbe accettato un compromesso sul voto capitario e su una dilazione dei tempi per procedere alla dismissione di Npe (non performing exposure, in pratica i crediti difficilmente o per nulla esigibili) è andato a sbattere contro il muro della realtà e ora dovrà decidere se optare per un “piano B”, come sembra tentata di fare Bpm, o bere l’amaro calice, come potrebbe in ogni caso dover fare Banco Popolare, maggiormente esposto alle sofferenze e con la necessità di procedere comunque con un rafforzamento del capitale (si parla di 1,5 miliardi, da raccogliere o con un aumento o tramite cessione di asset come Aletti Sgr, la quota del 16,85% di Anima Holding o quella del 39% di Agos Ducato).

Il fatto che entrambi gli istituti avessero superato gli stress test (Srep) della Bce lo scorso autunno, Bpm dimostrando di avere un Cet1 ratio pari all’11,44% contro il 9% richiesto, il Banco Bopolare del 13,4% (contro il 9,55% richiesto) non è bastato e questo la dice lunga sulla difficoltà che incontreranno tutte le altre banche popolari, anche una volta che si saranno trasformate in Spa (cosa che per i 15 maggiori istituti dovrà comunque avvenire entro la fine dell’anno).

Lo schiaffo in faccia a Bpm e Banco Popolare mette fin d’ora in allarme Banca Carige (Srep superato con un Cet1 ratio pari al 12% contro l’11,25% richiesto), dove i Malacalza sono alla ricerca di nuovi vertici che guidino l’istituto ligure verso uno o più matrimoni con altre popolari operanti in aree “ricche” come la Lombardia (Bpm), l’Emilia Romagna (Bper) e forse l’estero (attraverso Cariparma, controllata italiana di Credit Agricole). Ma anche Ubi Banca (Srep superato con un Cet1 dell’13% contro il 9,25% richiesto), tra i cui soci c’è fermento in vista del rinnovo del Consiglio di Sorveglianza all’assemblea di inizio aprile, dovrà decidere che fare, riavviando i contatti con Banco Popolare in caso di stop definitivo al matrimonio con Bpm o rivolgendosi a Banca Carige, magari prima di valutare un’aggregazione a più stadi con Bper.

Quest’ultima (Srep superato con un Cet1 ratio all’11,62% contro il 9,25% richiesto), interessata a espandersi in Veneto e Lombardia, ha da tempo aperto un dialogo con Veneto Banca, ma potrebbe guardare anche alla stessa Banca popolare di Vicenza nonché alle lombarde Credito Valtellinese (da cui di recente sono giunti segnali di cauta apertura all’ipotesi di “eventuali aggregazioni”) e Banca popolare di Sondrio.

Più in là da venire ulteriori mosse da parta di chi, come Banca popolare di Bari, deve prima finire di smaltire i problemi sorti con le ultime “operazioni sistemiche” (l’acquisizione di Tercas). Se a qualcuno fosse venuto il dubbio del perché mai le banche popolari italiane, tradizionalmente “autonome”, debbano sottostare alle leggi della “matrigna Europa”, la risposta è nei dati ufficiali noti da tempo.

Alle banche popolari facevano capo, a fine 2014, il 15% degli sportelli presenti in Italia ma solo il 6% dell’attivo; l’incidenza dei Npe era salita dal 10% del giugno 2011 al 17,5% del giugno 2014 (ad oggi è ulteriormente salita attorno al 20%); il tasso di copertura degli stessi Npe era pari al 33,2% contro il 48% medio dei gruppi bancari maggiori. Finora le banche popolari hanno goduto della fiducia “alla cieca” di centinaia di migliaia di risparmiatori e investitori, ma dopo la vicenda delle quattro banche minori “risolte” a dicembre perché ormai prive dei requisiti per rimanere sul mercato in molti si sono già accorti che la fiducia va data sulla base di un’attenta analisi dei numeri che ciascuna banca esprime.

Coi paletti fissati dalla Bce alla eventuale fusione Bpm-Banco Popolare anche la via di fuga rappresentata da matrimoni “tra pari” che consentano di salvare in primis la poltrona a manager e consiglieri d’amministrazione sembra preclusa. Il risiko bancario che verrà sarà necessariamente diverso da quelli che l’hanno preceduto negli scorsi decenni, l’era dei poteri imperiali della Bce ci condurrà ad un sistema bancario europeo migliore, ma per arrivarci non saranno risparmiate lacrime e sangue né ai dipendenti né a clienti e investitori degli istituti, anche se non soprattutto in Italia.

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