Vincitore e sconfitto in Austria chiedono una Europa diversa

Categoria: Estero

Io e Hofer siamo le due metà che formano questo grande paese».

 di Gianfranco Morra  Italia Oggi, 28.5.2016

«No, mia cara Europa, no, così non va; diamo un addio all'Unione, se l'Unione è l'infelicità». Hanno cantato tutti, gli austriaci, popolo musicale per eccellenza. A ragione, perché nessuno ha perso e ha vinto l'Austria: numerosi i votanti, composta la campagna elettorale, con lo 0,3% in più van der Bellen è divenuto presidente, Hofer è stato battuto ma non vinto.

Abituati a considerare la politica come una partita di calcio, noi italiani abbiamo difficoltà a capire che i due candidati, che si sono affrontati, hanno entrambi delle buone ragioni e che chiunque avesse vinto non avrebbe potuto non tener conto dell'altro. Anche perché non rappresentano dei partiti ideologici, come i socialisti e i popolari, tagliati fuori dal ballottaggio, ma dei movimenti diversi, più sensibili alla società civile e alla qualità della vita di fronte ai grandi pericoli che gravano sull'occidente: la distruzione della natura e l'invasione islamica.

È bene che abbia vinto l'europeista. Che, poi, lo è fino a un certo punto. Sa bene che, così com'è, l'Europa è destinata allo sfacelo: troppo eterogenea nelle identità nazionali e troppo omogenea nel niente, eccessiva burocrazia e mortificante centralismo, poca sussidiarietà e libertà. Non lo sa solo Hofer, battuto ai calci di rigore. Ma il suo partito rimane una realtà, che non si può ostracizzare con un bla bla denigratorio di comodo: populismo, nazionalismo, xenofobia, razzismo («parole, parole, parole», direbbe il Principe di Danimarca). Tanto è vero che non esiste nazione del continente dove non ci siano movimenti che esprimono scetticismo e anche rifiuto dell'Europa.

Più che spaccarsi, l'Austria ha mostrato che la moneta ha due facce che debbono armonizzarsi. Ci vuole una nuova Europa, nella quale convergano due progetti diversi e complementari: rimanere nell'Unione ma difendere la propria identità nazionale; unità, certo, ma non uniformità; aiutare più che si può i profughi ma accoglierne solo un numero programmato; non vietare la libera circolazione di Schengen ma solo per chi ne ha diritto; non erigere muri ma esercitare un rigoroso controllo sulle frontiere; enunciare una politica comune ma differenziare gruppi di nazioni con gradi diversi di sviluppo. Angosciosi e drammatici còmpiti, che riguardano l'Austria come tutti gli altri paesi europei.

Ciò che occorre rifiutare è il dualismo manicheo fra le nazioni «buone» che aprono le porte e quelle «cattive» che le chiudono. Uno Stato ha, come compito primario, la difesa e la sicurezza dei cittadini, a partire dalla tutela delle proprie frontiere. Van der Bellen ha ottenuto 30 mila voti più del suo competitore. E le sue prime parole sono state confortevoli: «Nessuna polarizzazione. Io e Hofer siamo le due metà che formano questo grande paese».