Esecutivi fragili e leader azzoppati. Così si paralizza anche la Ue

Categoria: Estero

L’instabilità è la cifra di molti esecutivi. Gentiloni: “L’Italia non è la pecora nera”. Dalle riforme, ai migranti all’economia, per molti Paesi decidere è impossibile

16/12/2017  MARCO BRESOLIN da www.lastampa.it

«Se ti guardi attorno, al tavolo del Consiglio europeo, ti rendi conto di quanto sia alto il numero di governi con maggioranze fragili, di governi di minoranza o “in waiting”».

Al termine della due giorni di Bruxelles, Paolo Gentiloni parla di una «italianizzazione» della politica europea. Lo fa per dire che l’Italia non è più la «pecora nera» nella classifica della stabilità dei 28 governi Ue e che il rischio di un periodo di incertezza post-elettorale non riguarda solo Roma. Anzi: governi forti, con un sostegno parlamentare largo e un’agenda chiara, sono nettamente in minoranza.

Ed è proprio questo uno dei motivi che impedisce all’Europa di fare passi avanti sulle questioni politicamente più sensibili, come la riforma dell’Eurozona e il dossier immigrazione. Temi su cui restano le solite divisioni, anche perché i governi sono troppo deboli sul fronte interno per potersi permettere di scendere a compromessi a Bruxelles.

La zavorra più pesante è certamente quella tedesca, che sta congelando qualsiasi decisione sulla revisione della governance economica. Ieri mattina i 27 leader Ue (esclusa Theresa May) si sono riuniti in formato «Eurosummit»: dovevano discutere le proposte di riforma dell’unione economico-monetaria, con l’obiettivo di arrivare a un accordo a giugno. Ma l’unico risultato concreto del summit è stato quello di fissare un altro summit di questo tipo, a marzo, per decidere che cosa fare a giugno. Angela Merkel ed Emmanuel Macron hanno spiegato che si presenteranno all’appuntamento di primavera con un progetto comune. In quei giorni, attorno al 23 marzo, l’Italia sarà probabilmente ancora in fase di consultazioni al Quirinale. 

Emmanuel Macron, però, scalpita. E l’olandese Mark Rutte, fresco di accordo di coalizione dopo sette mesi di negoziati, è tra quelli che più vogliono premere sull’acceleratore. Anche Mario Draghi ieri ha spronato i leader a rivedere l’assetto dell’Eurozona e soprattutto a fare le riforme strutturali in casa. 

Ognuno, però, ha i suoi problemi interni da risolvere.

Prendiamo il premier danese Lars Lokke Rasmussen, a capo di un governo di minoranza di centrodestra che per sopravvivere è costretto a chiedere l’appoggio del Partito del popolo danese, formazione anti-immigrati di destra. Quei voti sono indispensabili per approvare il bilancio, ma in cambio i partner vogliono rispedire a casa i rifugiati siriani. In questo contesto è certamente difficile per Copenaghen affrontare con serenità un dibattito sull’immigrazione a Bruxelles. 

Così come non può prendere impegni Christian Kern, cancelliere austriaco uscente che ha già pronte le valigie per fare posto a Sebastian Kurz e a un governo di un altro colore. E ieri sera, dopo 61 giorni di trattative, l’Austria ha annunciato di aver raggiunto l’accordo di governo tra i popolari del Övp e l’ultradestra dell’Fpö.

Al Consiglio europeo, poi, siedono alcuni capi di Stato che non stanno vivendo momenti felici con i rispettivi esecutivi, come la lituana Dalia Grybauskaite o il rumeno Klaus Iohannis, quest’ultimo ai ferri corti con un governo socialdemocratico travolto dalle accuse di corruzione

Piuttosto distratto dal caso Catalogna lo spagnolo Mariano Rajoy, mentre Paesi come il Portogallo, la Repubblica Ceca o la Bulgaria si reggono grazie al sostegno di partiti estremisti (comunisti nel caso di Lisbona e Praga, di destra nel caso di Sofia).

 E la lista dei governi che stanno come le foglie sugli alberi d’autunno non finisce qui: basta dare un’occhiata alla Croazia di Andrej Plenkovic, continuamente alle prese con rimpasti e richieste di elezioni anticipate, o alla Slovenia di Miro Cerar, puntualmente nel mirino dell’opposizione che ne chiede le dimissioni. Un elenco in cui Malta non è certo un’isola felice, con il governo guidato da Joseph Muscat sommerso dalle accuse di corruzione. 

Non va meglio Oltremanica. L’irlandese Leo Varadkar, a causa degli scandali che hanno travolto la sua vice, ha rischiato di andare a casa e di far saltare l’accordo sulla Brexit. Che invece per ora regge. Anche se Theresa May, perennemente minacciata dai compagni di partito o dagli alleati unionisti nordirlandesi, in quanto a instabilità non ha nulla da invidiare ai partner europei.