Numeri e prospettive dei moderatori di contenuti online

Categoria: Estero

Youtube ha dichiarato di volerne assumere 11 mila entro fine anno. Facebook oltre 20 mila. Eppure resta il mistero su alcuni dettagli della loro professione. Che sarà sempre più richiesta.

JACOPO FRANCHI, 30.9.2018 www.lettera43,it

L’unico dato certo è che non sappiamo quanti sono. Fino a pochi anni fa qualche centinaio, oggi diverse migliaia, un domani probabilmente decine o centinaia di migliaia di lavoratori ad altissimo tasso di turnover. Non hanno un nome, né un volto, e prendono ogni giorno decisioni che possono influire sul destino di milioni di persone, agendo nel più assoluto anonimato. Sono i moderatori di contenuti online, e sono la prova vivente che la “disintermediazione” delle grandi piattaforme come Facebook e Youtube è stata niente più che un’effimera chimera. O, per meglio dire, una rivoluzione di cui abbiamo per lungo tempo visto solo gli aspetti positivi, ignorando che c’era qualcuno a lavorare dall’altra parte dello schermo per proteggerci dai contenuti indesiderati e disturbanti.

I NUMERI: SECONDO THE MODERATORS, SONO OLTRE 150 MILA

I numeri non sono mai stati resi noti, ma secondo il documentario The Moderators i moderatori attivi nel mondo nel 2017 sarebbero oltre 150 mila. Di questi una buona parte è costituita da quelli attivi su Facebook (che ha dichiarato recentemente di volerne impiegare fino a 20 mila entro la fine del 2018) e Youtube (che dovrebbe invece fermarsi a “soli” 11 mila, sebbene sulla piattaforma vengano caricati ogni minuto oltre 400 ore di nuovi video). Tardivo è stato l’interesse dei media e perfino delle testate specializzate in nuove tecnologie.

La maggior parte dei moderatori è localizzata nelle aree più povere del mondo

La prima, vera inchiesta giornalistica che ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica le difficili condizioni quotidiane di lavoro dei moderatori risale a poco meno di quattro anni fa (Adrian Chen, «I lavoratori che eliminano le foto di peni e decapitazioni dal tuo newsfeed di Facebook», Wired, 23 ottobre 2014). Difficoltà che sono state confermate da una ex moderatrice, Selena Scola, che proprio in questi giorni ha denunciato Facebook davanti a una corte di giustizia della California, per non averle fornito adeguata «assistenza psicologica» di fronte alle numerosissime immagini di violenza a cui avrebbe dovuto assistere ogni giorno durante lo svolgimento del suo lavoro. La mancata disponibilità di dati più precisi sulla consistenza di questo enorme “esercito di riserva” del web, e sulle sue regole d’ingaggio, va di pari passo con l’anonimato in cui i moderatori stessi sono tenuti ad agire. Le segnalazioni inviate dagli utenti ricevono risposte standard, preimpostate, che avvisano che il contenuto è stato rimosso o non è stato toccato: non è possibile comunicare direttamente con i moderatori, nessuno può avere la certezza che a rimuovere il contenuto “sospetto” non sia stata in realtà un’intelligenza artificiale.

DALL'OCCIDENTE AI PAESI POVERI: IL TRAFFICO DEI "RIFIUTI" DIGITALI

Secondo Sarah T. Roberts, ricercatrice della canadese Western University che ha studiato le modalità di smaltimento dei “rifiuti digitali” sui social media, il fatto che la maggior parte dei moderatori sia localizzata nelle aree più povere del mondo è l’esito di una continua reiterazione del processo di smaltimento di rifiuti e materiali di scarto inquinanti dalle aree più ricche a quelle più sottosviluppate del pianeta. Nello studio della ricercatrice («Digital refuse: Canadian Garbage, Commercial Content Moderation and the Global Circulation of Social Media’s Waste») i contenuti di “scarto” del ricco Occidente verrebbero quindi trasportati senza sosta negli uffici, sugli schermi e nella vita quotidiana di migliaia di abitanti dei Paesi più poveri, contaminando e inquinando la loro esistenza e quella dei loro famigliari e amici con l’esposizione a immagini di torture, stupri, assassini cui i malcapitati dovrebbero assistere senza colpa alcuna.

Eppure sarebbe sbagliato ridurre il ruolo storico di questo enorme e invisibile “esercito di riserva” a una prospettiva esclusivamente neo-colonialistica: i rifiuti digitali vengono prodotti ovunque, e la loro velocità di smaltimento e rimozione ha effetti diretti nel mondo - cosiddetto - “reale”. Secondo un’indagine Onu, infatti, il massacro degli appartenenti all’etnia Rohingya in Myanmar sarebbe in parte una conseguenza della diffusione incontrollata di messaggi d’odio e fake news su Facebook: in un Paese dove oltre 18 milioni di utenti sono iscritti al social, ancora nel 2015 secondo Reuters esistevano solo due moderatori in grado di comprendere la lingua birmana.

L'IMPORTANZA DELLE SOCIETÀ TERZE: IL CASO DI TECHCRUNCH

Quello dei moderatori è un mestiere anonimo, pagato troppo poco rispetto all’importanza assunta, ma che nondimeno potrebbe diventare una delle professioni più richieste nei prossimi anni del mondo hi-tech. Lo dimostra il successo recente di TaskUs, un’azienda californiana di “customer service” che ha da poco ricevuto oltre 250 milioni di dollari di investimento e che ha aperto uffici in Messico, nelle Filippine, a Taiwan e negli Stati Uniti, dove lavorano oggi solo 2 mila dipendenti sugli 11 mila totali del gruppo. Secondo quanto riportato da Techcrunch, già oggi il 40% del fatturato di TaskUs proviene dalla moderazione di contenuti per conto di società terze (tra cui i più importanti social network al mondo). La stessa Scola, citata in precedenza, pur lavorando nella sede di Facebook a Menlo Park era stata in realtà assunta alle dipendenze di una società terza (Pro Unlimited) a cui Facebook aveva delegato la moderazione dei post sulla propria piattaforma.

Perché non sappiamo esattamente quanti sono i moderatori di contenuti online, che volto hanno e come lavorano, e non siamo interessati a saperne di più? Non è solo una questione di scarsa trasparenza delle piattaforme, né di scarsità di ricerche o inchieste a riguardo. I social media rappresentano ancora oggi un mondo molto più rassicurante, prevedibile, “sicuro” di quello che vediamo apparire sui telegiornali: il merito è dei moderatori, che ogni giorno controllano ed eliminano migliaia, quando non milioni di post, video e foto che potrebbero provocarci, se non orrore, perlomeno un certo disgusto o insofferenza. I social sono la via di fuga da una realtà, che controlliamo sempre meno, verso un mondo di cui pensiamo di conoscere ogni minimo particolare. Accettare la presenza dei moderatori, e la nostra impotenza di fondo nel controllare il modo in cui agiscono e rispondono alle nostre segnalazioni, significherebbe accettare il fatto che neppure i social sono riusciti a realizzare il sogno di un’umanità migliore, priva di gerarchie e di limiti di comunicazione. Un sogno, forse, ancora troppo grande per poter essere cancellato da un’inchiesta su quelli che lavorano “dietro le quinte” della rappresentazione.