Soros e Koch finanziano il disimpegno americano

Categoria: Estero

I nemici-amici lanciano un think tank per scardinare il modello del "secolo americano". Lo strano sodalizio tra fautori del restraint di destra e sinistra

di Mattia Ferraresi 22 Dicembre 2019ilfoglio.it lettura2’

Da mesi si parla di una iniziativa sostenuta da George Soros, il finanziere che domina le fantasie complottiste dei sovranisti di mezzo mondo, e Charles Koch, il magnate conservatore rimasto solo alla guida dell’impero di famiglia dopo la scomparsa del fratello David. Sono gli interpreti di due rette politiche normalmente parallele che convergono però sulla necessità di riformulare il paradigma della politica estera americana, nel segno della moderazione, del disimpegno, del rafforzamento della diplomazia a discapito dell’uso della forza. Qualche settimana fa il progetto è partito: si tratta di un think tank che coltiva l’ambizioso progetto di cambiare i termini del dibattito sul ruolo dell’America nel mondo e sulle modalità dell’esercizio della sua egemonia. Non si tratta di una recrudescenza dell’antico filone isolazionista o di un inno all’America First di Donald Trump – praticamente tutti gli attori coinvolti nel progetto sono dei critici del presidente – quanto di un tentativo di mettere in discussione alcuni dei pilastri che hanno sostenuto il consenso bipartisan della comunità di Washington che si occupa di politica estera. L’interesse del Pensiero dominante per l’operazione non si misura sulla sua eventuale efficacia nell’orientare le decisioni politiche, quanto nella sua pretesa di intercettare una sensibilità emergente fra analisti conservatori e progressisti. Una sensibilità che confusamente invoca una riforma dell’impianto di pensiero che ha informato la postura della superpotenza americana almeno dalla fine della Guerra fredda. Il pensatoio di Soros e Koch, dedicato a John Quincy Adams, ambisce a “cambiare il modo in cui la gente pensa”, ha detto il presidente Andrew Bacevich: programma forse troppo vasto per un manipolo di profeti della cautela, ma meritevole di attenzione.

All’inizio di dicembre è nato a Washington un nuovo think tank che si occupa di politica estera, il Quincy Institute for Responsible Statecraft. La nascita di un nuovo pensatoio nella capitale americana, luogo naturale dei centri studi che informano e orientano la politica, non è di per sé una notizia. L’elemento di novità è che il Quincy Institute è un’istituzione a rappresentanza trasversale che si propone di cambiare il paradigma di riferimento della politica estera americana. Il piano non consiste già nel rafforzare e dare voce a una delle parti che discutono su quale dovrebbe essere il ruolo e la postura dell’America negli affari globali, ma ambisce a ripensare la cornice concettuale entro cui il dibattito si articola, superando quello che a dire dei fautori dell’istituto è un consenso di fondo che ha dominato negli ultimi decenni l’establishment politico, diplomatico, militare e accademico che si occupa di politica estera. Repubblicani e democratici hanno proposto variazioni sul tema comune dell’egemonia globale americana….

… La premessa su cui nasce l’istituto è che queste non sono che interpretazioni leggermente divergenti di una concezione sulla quale vige un sostanziale consenso, espresso a vario titolo dall’amministrazione Reagan che ha combattuto “l’impero del male”, dal George H.W. Bush del “nuovo ordine mondiale”, dall’internazionalismo liberal di Clinton, dalla guerra al terrore di George W. Bush e dalla guerra dei droni di Obama. L’istituto nasce per mettere in discussione la premessa bipartisan e per generare “idee che spostino la politica estera americana lontano dalla endless war e verso una vigorosa diplomazia che persegua la pace internazionale”, come recita il documento fondativo del nuovo centro studi……

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