L’Unione europea rimane senza voce dopo la morte di Qassem Suleimani

Categoria: Estero

Ognuno degli (ormai) 27 paesi dell'Ue ha le sue ragioni per non condannare l'Iran e usa parole ricorrenti: moderazione e de-escalation

di Micol Flammini 4.1. 2020 alle 06: ilfoglio.it –lettura4’

Roma. Ieri è arrivato un comunicato senza voce, vago, in cui il presidente del consiglio europeo, Charles Michel non ha nominato né gli Stati Uniti né l’Iran. La mattina dopo la morte del generale iraniano Qassem Suleimani in Iraq, ucciso durante un raid americano, l’Unione europea è rimasta immobile e si è affidata a qualche voce, a qualche sussurro, che non si è distanziato troppo dall’atteggiamento cauto e amichevole che l’Unione ha mantenuto finora nei confronti di Teheran. Nel suo comunicato, Michel si è limitato a dire che “il ciclo di violenze, provocazioni, ritorsioni che abbiamo visto in Iraq deve finire” e poi ha citato i rischi che un aumento delle violenze nell’area potrebbero portare, come l’ascesa di nuove forze terroristiche. L’Alto rappresentante per la politica estera, Josep Borrell, in serata ha pubblicato il suo comunicato, dicendo che era stata una giornata intensa. Nemmeno lui ha nominato gli Stati Uniti né l’Iran, ha detto che l’Ue dialogherà con tutti per evitare nuove tensioni: medierà. Tutti gli altri europei, in fila, hanno ripetuto le stesse parole: moderazione, stabilità, fragilità, preoccupazione.

La Farnesina ha rilasciato un comunicato per dire che la situazione a Baghdad è preoccupante e che l’Italia “lancia un forte appello perché si agisca con moderazione e responsabilità, mantenendo i canali di dialogo”. Anche la cancelliera tedesca Angela Merkel, attraverso le dichiarazioni della sua portavoce, Ulrike Demmer, ha detto che l’escalation è arrivata a un punto pericoloso e che adesso è importante “contribuire alla de-escalation attraverso la prudenza e la moderazione”. Altra parola: de-escalation. Il ministro francese per gli Affari europei, Amelie de Montchalin, ha detto che la stabilità del medio oriente è una priorità per la Francia: “Ci siamo svegliati in un mondo più pericoloso”. Quel mondo c’era già, la minaccia iraniana in medio oriente è stata ripetutamente segnalata non soltanto dagli Stati uniti o da Israele, ma anche dalla stessa popolazione iraniana che lo scorso novembre ha protestato contro il governo – il regime privò tutta la nazione di internet e represse con violenza le proteste nate contro l’aumento del prezzo del carburante – e anche dalle manifestazioni in Libano e in Iraq dove i manifestanti, soprattutto giovani, urlano ancora ai loro governi: “Fuori l’Iran”. L’Unione europea però è rimasta legata a Teheran e ha lasciato che fosse il business a dettare la linea da seguire con il regime dei mullah.

Il presidente francese Emmanuel Macron ieri mattina ha chiamato Vladimir Putin – la Russia ha subito condannato l’uccisione del capo delle milizie al Quds come un gesto “avventato” – e i due hanno detto che rimarranno a stretto contatto per controllare la situazione in Iraq. Il ministero degli Esteri francese, Yves Le Drian, invece dopo aver parlato con il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha detto di aver invitato gli Stati Uniti alla moderazione (anche lui) e di aver chiesto di evitare qualsiasi misura che potrebbe peggiorare le tensioni. Più duro è stato invece il dialogo tra Pompeo e il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, che ha condannato l’uccisione di Suleimani come un fatto che aggraverà le tensioni, “ho chiarito questo punto”, ha scritto in un comunicato. Nei mesi scorsi era stata la Francia ad aver cercato di mediare per risolvere la situazione tra Washington e Teheran, Emmanuel Macron a New York durante l’assemblea generale dell’Onu aveva tentato di organizzare una telefonata tra il presidente americano Donald Trump e l’omologo iraniano Hassan Rohani. Il secondo avrebbe dovuto chiamare il primo, ma si è rifiutato perché voleva maggiori garanzia sull'eliminazione delle sanzioni da parte degli Stati Uniti. Durante il G7 a Biarritz, sempre Macron aveva organizzato l’arrivo a sorpresa del ministro degli esteri iraniano, Javad Zarif.

Ognuno degli (ormai) 27 paesi dell’Unione europea ha le sue ragioni per evitare di condannare l’Iran, durante le proteste del 2018, l’allora Alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza, Federica Mogherini, dopo diverse richieste da parte degli eurodeputati di condannare la situazione a Teheran, aveva dichiarato che i diritti umani sono fondamentali per Bruxelles e che l’Ue avrebbe continuato a monitorare la situazione. L’espressione aveva suscitato molta ironia sui social. Per Mogherini la priorità era mantenere in vita l’accordo sul nucleare del 2015, anche ieri ha rivendicato l’importanza dei “risultati diplomatici del passato”, di un accordo imperfetto che ha perso ancora più di significato dopo il ritiro degli Stati Uniti con Donald Trump. Gli europei sono rimasti attaccati alla difesa di quell’accordo, spesso violato da Teheran, cercando in ogni modo di proteggere la loro posizione economica: gli europei comprano il gas dalla Repubblica islamica e il greggio (circa il 40 per cento del greggio esportato da Teheran è acquistato dall’Ue) e dal 2015 le imprese Ue sono riuscite a ottenere contratti vantaggiosi in Iran. L’Unione europea ha deciso così di rimanere senza voce di fronte all’Iran, alle violazioni dei diritti umani, alle minacce a Israele e anche alle violazioni del trattato sul nucleare e si è limitata a parlare di moderazione, preoccupazione, de-escalation.

Una posizione diversa l’ha espressa invece Donald Tusk in un tuìt che ha fatto in polacco. La scelta della lingua non è casuale, non ha parlato da leader del Partito popolare europeo, ma da cittadino. “L’Europa e gli Stati Uniti devono a tutti costi mantenere l’unità transatlantica di fronte a un imminente terremoto politico e indipendentemente dal fatto che le decisioni di Trump provochino rischi globali", ha scritto l’ex presidente del Consiglio europeo, invitando così l’Ue a parlare con una voce sola, non senza voce.