NOMINE E DOTTRINE. Se Biden mette Michèle Flournoy al Pentagono

Categoria: Estero

Molti rumor sulle scelte del presidente eletto portano a una delle più grandi esperte di sicurezza e difesa dell'America: un falco liberal

PAOLA PEDUZZI 13.11. 2020 ilfoglio.it lett.3’

Nel 2004, la Flournoy scrisse assieme ad altri esperti il manifesto dell’internazionalismo progressista – è la teoria dell’interventismo umanitario nata negli anni Novanta con Tony Blair e Bill Clinton e poi traghettata negli anni Duemila dai falchi liberal – posizionandolo così: “L’internazionalismo progressista occupa il centro vitale tra la destra neoimperiale e la sinistra non interventista”

JOE BIDEN PENTAGONO MICHÈLE FLOURNOY

Michèle Flournoy ha fondato nel 2007 il Center for a New American Security (Cnas), il centro studi che fece da punto di riferimento per la politica estera e la sicurezza dell’Amministrazione Obama e che oggi lo è anche per il presidente eletto Joe Biden. Il nome della Flournoy ricorre insistente quando si parla di chi sarà il capo del Pentagono – di solito è appaiato a quello di Susan Rice, ex consigliere per la Sicurezza di Barack Obama, ex favorita per diventare vicepresidente di Biden: Aaron Mehta di Defence News, uno che ha fatto una fellowship al Cnas quindi conosce tutti bene, scrive che la Rice avrebbe la precedenza rispetto alla Flournoy, ma pare che lei non sia interessata al ministero della Difesa, ma al dipartimento di stato. In ogni caso, la Flournoy oggi non è più al Cnas: il nuovo punto di incontro per gli esperti di politica estera, difesa e sicurezza si chiama WestExec Advisors, è una società di consulenza sulla gestione dei rischi strategici, ed è una creatura della Flournoy assieme a Antony Blinken, che era consigliere per la sicurezza del Biden vicepresidente e oggi è in attesa di un incarico nel governo. Girano molte voci attorno a WestExec Advisors e questa galassia a cavallo tra consulenze, lobby, diplomazia e governo: American Prospect aveva fatto un’inchiesta e ne uscivano tutti male, compresa la Flournoy. Ma stipendi e interessi a parte, quel che importa della massima esperta di politiche di difesa sono la storia e la dottrina.

Michèle Flournoy ha sessant’anni, da piccola sognava di fare l’architetto, da universitaria ha scelto di trascorrere un anno all’estero in Belgio. Ha avuto il suo primo figlio quando già lavorava al Pentagono e qualche anno fa, con i figli che sono tre e sono diventati adolescenti, ha deciso di prendersi una pausa.

Questa è l’età “in cui almeno un genitore deve essere molto presente”, ha detto. Anche suo marito lavorava nel governo, e si decise che a fare la pausa fosse lei: non se n’è lamentata, dice che aver sempre frequentato il mondo militare – con suo padre, con suo marito ex marine e oggi con il primogenito – le ha insegnato a comprendere e valorizzare bene i ruoli e le ambizioni, anche i suoi. Flournoy è considerata un falco in politica estera, anzi: negli ambienti pacifisti di sinistra è stata definita “l’angelo della morte che sostiene le guerre senza fine dell’America”. Nel 2004, la Flournoy scrisse assieme ad altri esperti il manifesto dell’internazionalismo progressista – è la teoria dell’interventismo umanitario nata negli anni Novanta con Tony Blair e Bill Clinton e poi traghettata negli anni Duemila dai falchi liberal – posizionandolo così: “L’internazionalismo progressista occupa il centro vitale tra la destra neoimperiale e la sinistra non interventista”. Era il compimento del pensiero della Flournoy espresso nel 1997 nel Quadrennial Defense Review che i suoi detrattori citano per dire: non è di sinistra. Allora scrisse: “Quando si tratta di interessi vitali in pericolo (…) dobbiamo fare quel che serve, whatever it takes, per difenderli, incluso, quando necessario, l’uso unilaterale della forza militare”.

Quando fece il suo debutto al primo mandato di Obama come sottosegretario al Pentagono, la Flournoy era chiamata la “neocon”, perché aveva firmato un documento sponsorizzato dal Project for the New American Century, ormai defunto, per chiedere al Congresso di “aumentare in modo sostanziale le dimensioni dell’esercito”: spingeva per una politica estera “forte, pragmatica e morale”. Dello slancio iniziale era rimasto soprattutto il pragmatismo, ma come aveva detto la Flournoy intervistata dal Foglio nel 2012 “il pragmatismo non è senza princìpi”. In Ucraina, l’ultimo scenario in cui l’abbiamo vista all’opera, la Flournoy era a favore di aiuti militari “letali” da parte degli Stati Uniti e della Nato per contenere e respingere le forze russe nell’est del paese. Era la posizione più falca, quella che sosteneva anche Joe Biden, che quando gli dicevano che c’era un rischio di escalation con Mosca, rispondeva: non è un rischio, sta già accadendo. E’ da qui, da questa dottrina ben più interventista rispetto a quella obamiana, che parte il presidente eletto, e ripartirà forse la Flournoy, se dovesse essere scelta come la prima donna a capo delle Forze armate d’America.