Le condanne, le battaglie, le promesse: cosa resterà di Sarko

La politica è un rischio, una professione di notevole caratura che esprime “la più alta forma di carità”. Ma anche uno sporco affare che a qualcuno deve pur toccare di compiere

GIULIANO FERRARA 01.3. 2021 ilfoglio.it lettura3’

NICOLAS SARKOZY

Nicolas Sarkozy condannato a tre anni

Churchill, che a cinismo non lo batteva nessuno ma proprio nessuno, dopo il processo di Norimberga disse che, vista la mala parata, occorreva sforzarsi di non perdere la prossima guerra. Sarkozy la sua guerra l’ha persa, ed è subito galera più braccialetto elettronico. Un altro uomo di stato, il Cav., il più sulfureo e mercuriale ma il meno cinico che abbia conosciuto, fu oggetto, dopo aver perduto la sua guerra, delle stesse attenzioni giurisdizionali, e fu subito Cesano Boscone. La giustizia intesa come verdetto di casta ha una pericolosa tendenza a confondersi con la causa dei vincitori. Nel caso di Trump mi augurerei, perché sono innocentista (a volte) ma non garantista (sempre), che la cosa giudiziaria faccia il suo corso, dato il carattere irrimediabilmente delinquenziale di quella parabola sedicente politica. Ma caso per caso bisogna vedere.

Sarkozy mi piaceva un frego quando da ebreo ungherese francesizzato diede battaglia per fare in anticipo, c’è sempre un anticipo, le cose che ha promesso e sta tentando di fare Macron con alterno successo e determinazione. Inoltre è stato un conservatore capace di aprire a sinistra, di rendersi felicemente trasversale, di parlare alla Mutualité cioè nel covo storico del frontismo popolare e del 1968, di governare senza paraocchi e dogmatismi, cominciando col dire che quando un insegnante entra in classe gli allievi si devono alzare in piedi, come fanno le orchestre, e questa già sarebbe la soluzione delle soluzioni alla vertiginosa perdita di autorità implicita nella socializzazione democratica (Rocca, per dire, farebbe meno lo spiritoso sul destino del commissario Arcuri, se a Alcamo da piccino gli avessero detto di alzarsi quando entrava in classe l’insegnante, e con lui una marea di giornalisti che dovrebbero occuparsi di più della Juventus).

Poi smise di piacermi, perché di tutto quello che prometteva non se ne fece niente o quasi. E perché si imbarcò nella disgraziatissima guerra di Libia, quella che piaceva a Pigi Battista e a molti altri guerrazzoni, tutta gente perbene e molto innocente. Quando fu eletto, mi permisi di scrivere qui che la delusione sarebbe stata cocente, certe cose si intuiscono perché fanno parte della genetica politica. I giudizi di valore sull’homme d’Etat non c’entrano, però. Qui si parla di un traffico di influenze, la promozione di un magistrato che gli aveva detto cose indicibili su un’indagine in corso che lo riguardava per fondi libici, dico libici, alla sua campagna elettorale. Sapete come la penso. Le campagne elettorali, di tutti e sempre, tranne forse nel mio caso di eletto indipendente nel Psi al Parlamento europeo e di eletto comunista al Consiglio comunale di Torino (vabbè, qualche rublo forse), sono fenomeni impuri.

Se poi c’è di mezzo la Libia di Gheddafi e una guerra contro Gheddafi, mi vengono le vertigini. Il meccanismo funziona solo in America, e con riserva, perché lì il finanziamento dei partiti e dei candidati è un dovere civile o un diritto per individui e corporation, codificato dalla legge e dall’etica pubblica e privata: funziona nel senso che l’impurità di lobbying è ammessa e praticata senza complessi.

 

Certo, con i magistrati è meglio scambiarsi giudizi liberi e sentenze inattaccabili, eventualmente querele, piuttosto che bisbigli giurisdizionali. Forse il verdetto ha una sua logica, ma non sarebbe mai stato emesso se Sarkozy fosse in gloria, mentre da anni fa conferenze tra i sauditi, i turchi e i cinesi, come il mio amico Renzi. Che ve lo dico a fare? Lo sapete meglio di me. La politica è un rischio, una professione di notevole caratura che esprime “la più alta forma di carità” (san Paolo VI), ma anche uno sporco affare che a qualcuno deve pur toccare di compiere. Andrebbe rispettata sopra tutto per quel che di meno rispettabile esprime, i suoi mezzi visti alla luce dei suoi obiettivi. La consolazione è che nella storia il traffico di influenze sarà un comma giudiziario inessenziale, mentre le buone cose e i grandi errori del trafficante un capitoletto interessante lo meriteranno. E la vita vale la pena di essere vissuta, come dice lo storico Paul Veyne, solo per occuparsi delle cose interessanti. Il resto è ordinaria onestà e dabbenaggine.

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