Si trasforma in un razzo missileIl video di Kim Jong-un in stile Matrix dimostra che la globalizzazione ha già vinto

Categoria: Estero

Se persino il dittatore dello stato di polizia più repressivo al mondo ama rappresentarsi come il protagonista di un film americano, evidentemente, l’egemonia occidentale non sta messa poi così male

26.6.2022 Cundari  linkiesta.it

eNl pieno della guerra in Ucraina, il video di Kim Jong-un che presiede al lancio di un nuovo super missile, mandato in onda dalla tv coreana, è certo motivo di ulteriore preoccupazione. Ma contiene anche, paradossalmente, un segnale di speranza, proprio per il modo in cui il dittatore della Corea del Nord e tutta la scena sono rappresentati: Kim in giubbotto di pelle e occhiali da sole, due militari in alta uniforme al suo fianco, primissimi piani in montaggio alternato tra il nostro eroe (o per meglio dire il nostro super cattivo) e il super missile, prima al rallentatore e poi in accelerazione, in una surreale via di mezzo tra Matrix e Austin Powers (più Austin Powers che Matrix, in verità), tra il film di spionaggio e la saga Marvel, o per meglio dire la loro imitazione a basso costo.

Può far sorridere, e certamente deve preoccupare per il suo contenuto, ma dovrebbe anche fare riflettere il fatto che persino un simile messaggio, lo sfoggio del proprio arsenale come guanto di sfida all’occidente, tradisca un codice estetico, un immaginario, modelli aspirazionali che più occidentali non si potrebbero concepire. La summa di quella cultura e di quell’estetica che senza farla lunga possiamo definire semplicemente hollywoodiana.

È quanto meno degno di nota il fatto che tale cultura sia penetrata persino nello stato poliziesco più repressivo al mondo, chiuso a ogni influenza esterna dalla paranoia dei suoi dirigenti e dalla sua stessa miseria, ben rappresentato, nelle riprese fatte da una stazione spaziale nel 2014, da quel buco nero che si apriva improvvisamente tra le mille luci della Corea del Sud e quelle della Cina. È ancor più notevole che tale cultura non solo sia riuscita a penetrare entro i sorvegliatissimi confini di un simile Stato concentrazionario, ma ne abbia addirittura conquistato il vertice.

Non è un caso che l’inverso non sia nemmeno lontanamente ipotizzabile, perché a nessun capo di governo della Nato oggi potrebbe venire in mente di produrre un analogo messaggio mentre parla da un palco con una fitta schiera di burocrati intronati alle sue spalle, sul modello sovietico, tra giganteschi ritratti degli illustri predecessori. A riprova che forse la storia non sarà ancora finita, ma una direzione precisa sembra averla imboccata.

La battaglia politica e ideologica sarà magari interminabile, e aperta ancora a chissà quante contaminazioni e ibridazioni, ma sul terreno dell’estetica, specchio di tutte le aspirazioni umane, che si tratti dell’ultimo influencer o del più feroce dei dittatori, la partita sembra definitivamente chiusa.