Il ruolo ambiguo del Dragone. Cina pronta a prendersi il mondo, la pace in Ucraina è l’asso nella manica di Xi

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La Cina di Xi Jinping esce vittoriosa dal G20 indonesiano e si candida a guidare il mondo intero concedendo soltanto una dilazione all’Occidente prima del regolamento dei conti che partirà da Taiwan e dal controllo del Mare cinese del Sud…

Paolo Guzzanti — 20.11. 2022 ilriformista.it lettura6’

La Cina di Xi Jinping esce vittoriosa dal G20 indonesiano e si candida a guidare il mondo intero concedendo soltanto una dilazione all’Occidente prima del regolamento dei conti che partirà da Taiwan e dal controllo del Mare cinese del Sud da cui passa quasi tutto il traffico commerciale planetario. In cambio concede agli Stati Uniti e all’Inghilterra una posizione antirussa che è strettamente connessa con Taiwan: la Russia ha sbagliato ad invadere un altro Stato sovrano violando il principio secondo cui nessuno può ficcare il naso in casa altrui, così come l’America e i suoi alleati non devono ficcare il loro naso nel mare cinese, Taiwan inclusa.

Da un mese Xi Jinping aveva fatto filtrare la notizia, che noi avevamo registrato, secondo cui Putin all’inizio di febbraio fece un grave sgarbo alla Cina traendo in inganno Xi Jinping quando il Presidente russo andò a Pechino mentre si concludevano le Olimpiadi. Grandi feste, abbracci e foto di gruppo, poi il russo se ne tornò a Mosca e il 24 lanciò la sua “operazione militare speciale” contro l’Ucraina. Tutto il mondo disse: “Putin ha il pieno appoggio della Cina quando è andato ad avvertire il suo omologo cinese, che evidentemente ha dato il suo consenso”. Ma non era vero. Putin non aveva detto nulla della sua intenzione di invadere l’Ucraina e Xi Jinping fu preso totalmente di sorpresa e non gradì affatto. Ma decise di non rendere pubblico il suo disappunto in attesa del summit di Samarcanda con tutti i Paesi dichiaratamente avversi al mondo occidentale, fra cui Russia, Cina, India, Pakistan e molti altri dell’ex blocco sovietico e del vecchio “terzo mondo”.

Il summit avvenne a metà settembre ma pochi giorni prima era uscito, senza clamore, un lungo articolo del professor Wang Yiwei, accademico e direttore della Renmin University of China, stretto collaboratore di Xi e visiting professor in molte università occidentali. In quel lungo articolo, che ricostruiva la complessa e spesso insanguinata storia dei rapporti fra Unione Sovietica e Cina, poi composti con un trattato tra Federazione Russa e Cina nel 2005, Yiwei raccontò che qualcosa di simile a ciò che aveva fatto Putin nel 2022 era avvenuta a parti rovesciate il 31 luglio del 1958 quando il premier sovietico Nikita Krusciov fu invitato a Pechino per un grande festeggiamento delle due patrie del socialismo, Cina e Unione Sovietica. Krusciov lasciò Pechino il 4 agosto e subito dopo Mao Zedong lanciò la Kinmen Artillery Battle, passata alla storia come la “Seconda crisi dello Stretto di Taiwan” con pesanti bombardamenti sull’arcipelago di Quemoi (Kinmen) occupato dall’esercito di Chang Kai-shek, il generalissimo nazionalista che, dopo aver combattuto insieme all’esercito popolare di Mao contro i giapponesi, era stato sconfitto e messo in fuga dallo stesso Mao e si era rifugiato a Formosa.

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Gli americani – era ancora presidente Ike Eisenhower, ex comandante in capo delle armate alleate contro la Germania nazista, valutarono la situazione e decisero che sarebbe stato imprudente intervenire perché era chiaro che Mao, durante la visita di Kruscev, aveva ottenuto dai sovietici il loro sostegno. Quando Kruscev si rese conto dell’inganno – racconta l’articolo di Wang Yiwei pubblicato con il consenso di Xi Jinping – fu preso da una crisi isterica e batté con forza i piedi per terra stizzito gridando “Quel Mao è furbo e arrogante come un gallo da combattimento!”. Il senso dell’articolo era: caro Vladimir, ci hai reso la pariglia e noi siamo gente paziente che sa stare al gioco, anche quando il gioco si fa duro. Ma non prenderci per idioti perché la tua guerra all’Ucraina non troverà affatto il nostro sostegno e anzi dicci quando pensi di chiudere questo capitolo increscioso.

Le avvisaglie della tempesta furono evidenti a Samarcanda dove, malgrado l’entusiasmo dei post-comunisti del mondo occidentale, volarono parole durissime. Sia Xi Jinping che Modi, il presidente indiano che mentre fa il partner di cinesi e russi intanto compie esercitazioni militari con gli americani, chiesero brutalmente a Putin quando intendeva chiudere la sua avventura in Ucraina fonte di imbarazzo per tutti. Putin rispose che la colpa era degli occidentali e dell’America e Xi Jinping disse a Putin che con l’America se la sarebbe vista lui stesso perché era in corso una revisione dei rapporti fra le due superpotenze perché se i cinesi sono proprietari di larga parte del debito americano (per cui Washington paga puntualmente gli interessi annuali), è altrettanto vero che quasi tutto il commercio cinese trova la sua collocazione in America e senza il mercato americano la Cina crollerebbe. A Samarcanda probabilmente (nessuno lo ha detto ma si può supporre) Putin ha assicurato di avere l’intenzione di trattare, purché quei guerrafondai di Kiev, a cominciare da Zelensky, avessero smesso di infliggere perdite umilianti. La risposta americana a quel punto è diventata estremamente flessibile nei confronti di Xi Jinping perché Washington ha sostenuto con molte ragioni oggettive di aver dovuto intervenire a sostegno dell’Ucraina per evitare una proliferazione nucleare in tutti i Paesi non nucleari (specialmente ex sovietici) , che gli Stati Uniti vogliono a tutti i costi evitare, cosa che trova i cinesi perfettamente d’accordo. Di che cosa si tratta?

Quando nel 1992 l’Ucraina fu dichiarata uno Stato indipendente, restituì alla Russia tutte le armi nucleari disseminate sul suo territorio e che appartenevano alla ex Unione Sovietica. Chiese però come garanzia del suo disarmo nucleare, valido anche per il futuro, che la Russia stessa, gli Stati Uniti e il Regno Unito ne garantissero sovranità e indipendenza. Le mosse annessioniste di Putin per il controllo della Crimea e del Donbass allarmarono Usa e Uk, ma quando avvenne l’invasione di febbraio entrambi i Paesi garanti decisero di intervenire pesantemente rifornendo di armi l’Ucraina invasa, ma col contagocce: Kiev avrebbe ricevuto quanto fosse bastato per contenere l’invasione e scoraggiarla, ma non di più. Perché tanta prudenza? Le risposte sono venute attraverso le analisi filtrate dal Dipartimento di Stato attraverso i Think-Tank di “Foreign Affairs” e altri centri di analisi ben informati. La spiegazione data dall’amministrazione Biden a Xi Jinping è questa: almeno 25 Paesi nuclearmente disarmati hanno comunicato l’intenzione di procedere alla produzione o acquisto di armi nucleari per difendersi in caso di tentativi di annessione da parte della Russia. A meno che, questo è il punto, Washington e Londra non avessero dimostrato con i fatti di avere l’intenzione e la capacità di difendere l’Ucraina aggredita e di essere pronti a farlo anche in futuro.

I costi altissimi del rifornimento di armi di ultima generazione computerizzata all’Ucraina si sono aggiunti alla crisi economica e infatti proprio ieri Dmitry Medvedev, l’eterno numero due di Putin, dichiarava con scherno che “Gli americani hanno sempre tradito i loro alleati e tradiranno anche gli ucraini”.

Di qui le prime avvisaglie da Washington che ha mostrato pubblicamente il suo malumore per l’aggressività di Volodymir Zelensky e del suo circolo militare, avvertendo che i mesi del freddo e del rallentamento della guerra sul terreno, avrebbero dovuto essere spesi per raggiungere un accordo con la Russia, che a questo punto deve pur portare a casa un risultato, affinché la trattativa abbia un senso. Tutto ciò a Xi Jinping è piaciuto anche perché gli permette di ridimensionare le pretese di leadership di Mosca e il G20 ha dimostrato quanto la sua comprensione della posizione americana e inglese sia visibile. Ma la vittoria di Xi Jinping si è tradotta subito in una intensificazione delle operazioni di penetrazione, spionaggio e acquisizione di tecnologia sia nel Regno Unito che negli Stati Uniti dove sia l’Mi5 di Londra che l’Fbi a Washington si sono trovati di fronte a una proliferazione della pressione cinese che punta all’acquisizione di potere politico e industriale in entrambi i Paesi.

Ken McCallum, direttore del Mi5 ha lanciato l’allarme nell’annuale conferenza stampa sulle rive del Tamigi, sostenendo che i servizi segreti di Sua Maestà scoprono continuamente tracce di continue: “manipolazioni dell’opinione pubblica a favore della Cina, favorendo le carriere di alti funzionari e di politici e cioè costruendo debiti di riconoscenza”. E ha citato l’operazione che ha condotto all’agente cinese Christine Ching Kyu Lee smascherata dal Mi6 mentre reclutava con regalie personalità politiche. Qualcosa di simile accadeva a Washington con una operazione dell’Fbi che catturava una cellula di reclutatori detta Fang Fang. McCallum ha sostenuto che il nuovo partito comunista cinese di Xi Jinping si è trasformato in un organismo totalmente diverso da quello cui inglesi e americani erano abituati nel passato e che quindi la vera risposta della Cina sulla scena del teatro internazionale, va considerata come una pace provvisoria destinata a guadagnare il tempo necessario per la fase finale della leadership di Xi Jinping che consisterà nell’estromissione dell’Occidente dal mondo orientale e al contenimento della Russia affinché non intraprenda altre avventure non autorizzate dalla Cina.

Paolo Guzzanti