Navi di Mosca vicino alla esplosione di Nord Stream:cosa c’è da sapere sulla pista russa e polacca

Categoria: Estero

una motovedetta della marina reale di Copenaghen ha scattato 112 foto di navi russe. Immagini ancora sequestrate

Paolo Mauri 23.4.2023 ilgiornale.it lettura6’

Insideover.com Si apre un nuovo capitolo nel mistero delle esplosioni ai gasdotti sottomarini Nord Stream. La Difesa danese riferisce che quattro giorni prima dell’evento che ha portato alla distruzione delle linee sottomarine, una motovedetta della marina reale di Copenaghen ha scattato 112 foto di navi russe durante un pattugliamento incentrato sull’area in cui si sono avute le esplosioni.

Le immagini sono ancora secretate perché “facenti parte del lavoro di intelligence” – probabilmente in quanto svelerebbero risoluzione e fornirebbero informazioni sui sensori di ripresa –, ma sappiamo che le foto e le registrazioni video delle unità navali russe sono state prese il 22 settembre 2022 a bordo della motovedetta P524 “Nymfen”.

Il materiale raccolto farà sicuramente parte del lavoro di investigazione sull’accaduto attualmente in corso portato avanti in maniera congiunta da Danimarca, Svezia e Germania, ma i tre Paesi hanno recentemente affermato di non aver terminato le loro indagini e quindi di non poter giungere a nessuna conclusione.

Stoccolma a metà ottobre aveva diffuso le immagini di un video ripreso da un Rov (Remotely Operated Vehicle) sottomarino che aveva ispezionato le condutture, rappresentando la prima rivelazione fotografica dei danni subiti. Queste evidenze sono di particolare interesse per l’analisi delle possibili paternità dell’atto di sabotaggio, che sono ancora avvolte da un manto di incertezza e, molto probabilmente, non sarà mai possibile renderle pubbliche: troppo grandi, a livello politico, potrebbero essere le conseguenze, sia che fosse stata un’azione russa (si tratterebbe di un atto di guerra), sia da parte “alleata”, come sostiene il giornalista Usa Seymour Hersh (significherebbe una frattura, forse insanabile, tra Paesi membri della Nato).

Su InsideOver si è già discusso in modo approfondito della tesi di Hersh, secondo cui i gasdotti Nord Stream sarebbero stati fatti esplodere con delle cariche esplosive posizionate sugli stessi da personale alleato – statunitense appoggiato da norvegesi – e azionate a distanza, qualche giorno dopo l’esercitazione navale Baltops 22 della Nato, grazie al sorvolo di un pattugliatore marittimo tipo P-8 “Poseidon” della marina reale di Oslo.

La ricostruzione di Hersh però, come si è già affermato nella disanima che ha preso in considerazione due possibili genesi del sabotaggio, difetta di alcuni punti chiave. Innanzitutto le lamiere delle condutture sottomarine, come si può vedere proprio dalle immagine diffuse dalla Svezia, appaiono piegate verso l’esterno, non verso l’interno, deformazione che ci si aspetterebbe di trovare in caso di carica esplosiva apposta sulle stesse. Questo fa pensare che, ipoteticamente, la carica da demolizione possa essere stata montata su uno di quei robot telecomandati/automatici che vengono usati nelle linee di questo tipo per effettuare ispezioni/riparazioni, e vengono inseriti attraverso apposite flange a terra. Secondariamente, non risulta che nessun pattugliatore P-8 fosse in volo nei giorni immediatamente precedenti o successivi alle esplosioni, anche se va detto che non è possibile con gli strumenti open source di monitoraggio del traffico aereo sapere se un aereo è in volo col transponder spento, fattore fondamentale per mantenere la segretezza agli occhi del grande pubblico e che non è stato mai considerato da sedicenti debunker.

Stante queste incertezze, è impossibile, come detto, attribuire la responsabilità ultima del sabotaggio, ma si possono fare delle considerazioni di tipo politico/strategico sulla convenienza che avrebbero avuto alcuni attori internazionali nel farlo.

La pista russa

Partendo con la Russia. L’obiezione comune e superficiale verso questa tesi è che Mosca non avrebbe mai potuto far saltare le condutture che le avrebbero portato introiti grazie alla vendita del gas alla Germania. In realtà si tratta di una visione debole, non supportata da fatti e financo viziata, in alcuni casi, da disonestà intellettuale.

I gasdotti Nord Stream, al tempo del sabotaggio, erano già delle linee praticamente morte per via dell’embargo elevato verso gli idrocarburi russi che ha progressivamente “chiuso” i rubinetti che collegano l’Europa alla Russia.

Il gasdotto Nord Stream 2, poi, non è stato mai messo in esercizio. Nel settembre 2021 la costruzione del progetto è stata completata, ma a novembre 2021 la sua certificazione è stata sospesa dall’agenzia federale tedesca per le reti fino a quando Nord Stream 2 Ag non avesse trasferito le attività alla sua controllata tedesca per conformarsi alla normativa nazionale. Il 22 febbraio 2022, la Germania ha interrotto il processo di certificazione in risposta al rafforzamento militare della Russia al confine con l’Ucraina prima dell’invasione iniziata due giorni dopo. La costruzione del Nord Stream 2 è stata sanzionata dagli Stati Uniti che, insieme a Polonia, Ucraina, Stati baltici e altri Paesi, hanno visto il progetto come un tentativo della Russia di aumentare la propria influenza politica sull’Europa.

Per quanto riguarda invece il Nord Stream (o Ns1), i flussi di gas sono stati più o meno costanti sino al 31 maggio 2022, per poi crollare esponenzialmente tra giugno e l’inizio di luglio sino ad azzerarsi, avendo solo una debole ripresa (a un terzo della portata) di breve durata alla fine di luglio, ma il 31 agosto il gas non fluiva già più attraverso le condutture e non ha mai più ripreso a scorrere.

Perché Mosca avrebbe avuto una convenienza politico/strategica per effettuare il sabotaggio? Trattandosi di linee “morte” da mesi, come evidenziato dai dati consultabili, la Russia non avrebbe più avuto una fonte di guadagno dallo scorrere del gas (solo dal pagamento dei contratti precedenti che hanno clausole particolari di lungo termine) pertanto la distruzione delle condutture avrebbe offerto al Cremlino la possibilità di avere frecce in più al suo arco propagandistico, gettando discredito sull’unità dell’Alleanza atlantica, sulla fragilità dell’Unione europea, ma soprattutto sollevando dubbi, malcontento e incertezza nelle cancellerie europee (e a breve vedremo perché) e nell’opinione pubblica del Vecchio Continente, che in alcuni Paesi – come il nostro – è facilmente condizionabile e, vivendo in democrazie liberali, capace di influire sui processi decisionali governativi.

La speranza era, quindi, quella sia di minare l’unità della Nato sia il sostegno popolare al supporto militare occidentale per l’esercito ucraino nella sua lotta contro l’invasione russa. Effettivamente, questa seconda operazione si può considerare parzialmente riuscita, almeno in alcuni Paesi europei in cui si è aperto un dibattito sull’opportunità di proseguire o meno con l’invio di armamenti a Kiev.

Condutture inutilizzate del gasdotto Nord Stream 2 in Germania. Foto: Epa/Hannibal Hanschke.

La pista polacca

C’è poi l’altra tesi, ovvero quella proposta da Hersh sebbene modificata negli attori perché, secondo chi scrive, sarebbero stati altri i Paesi più inclini a effettuare un sabotaggio. La nazione in Europa che in assoluto è stata sempre più critica verso le condutture Nord Stream e che si è opposta fermamente alla costruzione della seconda linea è stata la Polonia. Varsavia ha più volte alzato i toni diplomatici con Berlino riguardanti la sicurezza energetica europea nel corso degli ultimi anni, affermando che la dipendenza dell’Europa centrale dal gas russo sarebbe stata fonte di pressione diplomatica da parte del Cremlino sino ad arrivare al punto della coercizione.

Già a novembre del 2015, quando si era aperta la fase di trattativa sul Ns2, la Polonia, insieme a Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Grecia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Romania e Slovacchia, aveva siglato una lettera in cui si affermava che il progetto avrebbe dovuto essere sottoposto al più stretto controllo normativo, con Slovacchia, Polonia e Stati Uniti che avevano preso una posizione netta contro l’espansione del Nord Stream.

La battaglia polacca contro il raddoppio delle linee è proseguita nel corso degli anni. A maggio 2021 Varsavia aveva affermato che la rinuncia alle sanzioni statunitensi nei confronti della società dietro il Nord Stream 2 avrebbe rappresentato una minaccia per la sicurezza energetica nell’Europa centrale e orientale. Allora, infatti, l’amministrazione Biden aveva revocato le sanzioni contro Nord Stream 2 Ag nel tentativo di ricostruire i legami con la Germania, dopo che le relazioni si erano deteriorate sotto l’ex presidente Donald Trump.

L’anno prima la Polonia aveva elevato una multa contro il gestore russo Gazprom, motivandola con violazioni delle regole di concorrenza e minaccia agli interessi dei consumatori. I toni polacchi hanno assunto sfumature parossistiche anche dopo il sabotaggio, quando l’ex ministro degli Esteri e attuale membro del Parlamento europeo Radoslav Sikorski avrebbe lasciato intendere il coinvolgimento degli Stati Uniti nelle esplosioni pubblicando, su un social, una foto del luogo dell’incidente con la didascalia “Grazie, Usa”, suscitando scalpore al punto che la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, aveva reagito chiedendo se la posizione di Sikorski fosse stata “una dichiarazione ufficiale sul fatto che si tratta di un attacco terroristico”.

Stante questa lunga storia di ferma e dura opposizione verso le nuove condotte da parte della Polonia, non è possibile quindi escludere che qualcuno, a Varsavia e magari con l’aiuto britannico – forse il secondo Paese che più si oppone alla Russia in Europa – , possa aver organizzato il sabotaggio per chiudere definitivamente la questione in caso che la fine del conflitto avesse, col tempo, riaperto i rubinetti.

Oggi però, dato l’andamento dei rapporti Russia/Ue, è difficile pensare che le importazioni di idrocarburi da Mosca, in caso di termine delle ostilità, tornino a essere quelle di prima: sia perché l’Unione europea si è mossa per sostituire buona parte delle forniture entro il biennio 2024/2025, sia perché le relazioni diplomatiche si sono incrinate di molto.