Perché ridurre il debito americano è il vero obiettivo dei dazi di Trump

Categoria: Estero

Pari a 26.200 miliardi di dollari nel 2023, il debito è in accumulazione fino a esser stimato capace di sfondare quota 50mila miliardi (122% del Pil) nel 2034

Andrea Muratore 5 Aprile 2025 insideover.it

La manovra di politica economica di Donald Trump sui dazi e l’uso della leva delle tariffe commerciali come strumento di coercizione finanziaria e geopolitica ha aperto un’ampia discussione sul fine ultimo di tale strategia articolata che ha spinto il dazio medio imposto da Washington al resto del mondo al 22,5%, il più alto dal 1909 secondo i calcoli del Budget Lab dell’Università di Yale.

C’entra, sicuramente, in questo calcolo la spinta di Trump a comprimere il deficit commerciale americano col resto del mondo, scelta che ha portato a daziare anche Stati verso i quali il disavanzo assume valenza strategica, come successo per il Vietnam usato come hub per il disaccoppiamento industriale dalla Cina. Ma c’entra anche il tema fondamentale del debito pubblico statunitense, di cui su queste colonne abbiamo parlato come di una delle spade di Damocle che pendono sull’economia a stelle e strisce.

I deficit gemelli e il buco nero del debito Usa

Come fatto notare da Gianmaria Vianova, i “deficit gemelli”, fiscale e commerciale, sono il bersaglio primario di The Donald in questo suo secondo mandato. E se l’impatto dei dazi, nelle speranze di Trump, per la riduzione del disavanzo della bilancia commerciale è chiaro alla prima interpretazione, la questione del debito pubblico che preoccupa la Casa Bianca non è immediata.

Come ha fatto notare in un’analisi per l’Ispi Giampaolo Galli, Direttore dell’Osservatorio dei Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica di Milano, “il deficit pubblico americano è lo strumento attraverso il quale il mondo si rifornisce di dollari, che sono necessari al funzionamento del commercio mondiale così come per i mercati finanziari” ma negli ultimi anni si sta autoalimentando a livelli estremi.

Pari a 26.200 miliardi di dollari nel 2023, il debito è in accumulazione fino a esser stimato capace di sfondare quota 50mila miliardi (122% del Pil) nel 2034 e, ha sottolineato Galli, a alimentare una spesa per interessi pari l’anno scorso al 3,1% del Pil fino a oltre il 4%.

I dazi per tagliare il debito, la scommessa di Trump

Trump intende spingere sul taglio al debito tramite le politiche daziarie. Come? In misura tattica, spingendo alla creazione di un fondo che destini le entrate tariffarie alla riduzione del deficit federale. In termini strategici, spingendo al deprezzamento del dollaro, chiamando la Federal Reserve a scendere in campo per un nuovo quantitative easing e per l’emissione monetaria che aiuti Washington a finanziarie il maxi-deficit (9mila miliardi di dollari in scadenza solo nel 2025) tramite una nuova ondata di liquidità.

Inoltre, gli Usa potrebbero muoversi inserendo l’acquisto di debito americano nelle trattative con i Paesi daziati quale contropartita per l’abbassamento delle tariffe. Tutto questo con un fine: spingere la politica economica e monetaria a convergere nel far appiattire la curva dei rendimenti del debito che, in effetti, dal varo delle sanzioni commerciali ha iniziato a flettere su ogni classe di rendimento.

“I tassi di interesse a breve termine sono una questione della Federal Reserve, mentre quelli a lungo termine riguardano il Tesoro”, ha fatto notare Maurizio Novelli, gestore di Lemanik Global Strategy, mentre Gabriele Pinosa in un’analisi pubblicata per Gospa Consulting ha definito le politiche Trump come ispirate a “una sorta di “nazionalizzazione del sistema finanziario globale” sotto l’egida politica” e spiegato che Trump ha, in quest’ottica, scelto come campo sacrificabile quello delle borse, in picchiata nelle ultime sedute, perché “la priorità dell’Amministrazione Trump non è il mercato equity, bensì la gestione del debito americano“.

Verso la guerra commerciale totale

Manovre complesse che potrebbero scontare come rischio geoeconomico la possibilità di un’escalation commerciale non corrisposta da trattative, come sembra lasciar presagire la dura risposta cinese con i contro-dazi al 34% sull’import da Washington, e la prospettiva di una recessione industriale e produttiva negli States capace di portare a un punto di rottura l’agenda politica di Trump. Ma l’amministrazione ha scelto di entrare in campo nella guerra commerciale totale indicando un chiaro bersaglio nell’indebitamento e proponendo di riplasmare ex novo il sistema finanziario e monetario globale.

Tutto questo in un quadro di asimmetria e divisioni politiche che rende difficile l’ipotesi di un accordo internazionale oggi più che mai necessario per ridefinire l’ordine valutario, commerciale, tariffario. Washington va all’attacco con un obiettivo consistente e duplice: abbattere tanto il deficit commerciale quanto quello di bilancio. Sarà dura per Trump ottenere questo obiettivo nel lungo periodo. Sarà costoso per l’economia globale la sua strategia nel complesso se scatenerà un’escalation internazionale.