Alla manifestazione del Rassemblement National per «salvare la democrazia» c’erano poche migliaia di persone
7.4.2025 Francesco Cundari linkiesta.it lettura2’
scrive Francesco Cundari nella newsletter “La Linea”. Arriva tutte le mattine dal lunedì al venerdì più o meno alle sette
La grande manifestazione del Rassemblement National a sostegno di Marine Le Pen, e contro i giudici che l’hanno condannata per appropriazione indebita, decretandone l’ineleggibilità per i prossimi cinque anni, non è stata davvero all’altezza delle premesse, e tanto meno della propaganda sovranista, che aveva descritto la sentenza come un colpo di stato, un attentato alla democrazia contro il quale il popolo avrebbe dovuto ribellarsi in massa. Jordan Bardella dal palco parla di diecimila presenti. Per le Figaro erano «circa cinquemila, forse meno». Secondo le Monde «la collera del popolo lepenista e un sole generoso non sono bastati a riempire la piccola place Vauban». Salvo che in tv e sui social network, s’intende, perché «la folla è stipata nelle prime file, munite di bandiere tricolori, per offrire ai televisori una resa accattivante. Ma molto rada dietro le telecamere, situate al centro della piazza». Per essere una manifestazione convocata al grido di «Salviamo la democrazia», come recitavano i manifesti del Rassemblement National, il risultato è certamente molto al di sotto delle attese.
La mia impressione è che Le Pen sia la prima vittima dei dazi decisi da Donald Trump. E non solo perché la mossa della Casa Bianca ha monopolizzato l’attenzione dei mezzi di comunicazione e riscritto radicalmente la gerarchia delle notizie, ma soprattutto perché ha messo i sovranisti in una posizione a dir poco imbarazzante. E figurarsi in un paese come la Francia, in cui l’orgoglio nazionale è sentimento radicato e diffuso, spesso non disgiunto da un certo antiamericanismo. Resisterò alla tentazione di attribuire il fiasco al fatto che Le Pen avesse appena ricevuto la calorosa solidarietà e gli affettuosi auguri di Matteo Salvini, collegandosi al congresso della Lega. Piuttosto mi pare degno di nota che il padrone di casa, riconfermato segretario fino al 2029, non sembri porsi neanche lontanamente il problema dei dazi e appaia invece impegnatissimo nel contendere a Giorgia Meloni i favori dell’amministrazione americana – sabato in collegamento con il congresso c’era Elon Musk – rendendo ancora più difficili gli equilibrismi della nostra presidente del Consiglio tra Washington e Bruxelles.
Vedremo come Meloni riuscirà a giocare le sue carte con Trump nell’incontro che secondo le indiscrezioni dovrebbe essere finalmente riuscita a ottenere alla Casa Bianca per la prossima settimana, con il leader della Lega che la invita a cercare un trattamento di favore per l’Italia, scaricando l’Unione europea, e Antonio Tajani che la esorta a fare l’esatto contrario. Ma di sicuro il centrodestra farebbe bene a osservare con attenzione quel che sta accadendo in Francia.