I dazi Usa non risparmiano nemmeno Taiwan: Trump all’assalto dell’industria dei chip

Categoria: Estero

Non è bastato il maxi investimento da 100 miliardi di dollari di Taiwan Semiconductor Manufacturing Co. (Tsmc) negli Usa

Federico Giuliani 9 Aprile 2025 insideover.it lettura3’

I dazi di Donald Trump hanno colpito anche il cuore pulsante della catena di fornitura globale dei chip avanzati per computer ed elettronica: Taiwan. L’isola deve fare i conti con tariffe del 32% sulle esportazioni verso gli Stati Uniti. Certo, la mannaia della Casa Bianca ha escluso i semiconduttori, i beni più preziosi di Taipei, ma il messaggio che Washington ha inviato al governo di William Lai è chiaro: vogliamo i vostri gioielli.

Non è bastato il maxi investimento da 100 miliardi di dollari di Taiwan Semiconductor Manufacturing Co. (Tsmc) negli Usa. Il gigante taiwanese si era rivelato fin da subito favorevole ad aumentare la capacità produttiva degli Stati Unit aprendo alcuni stabilimenti oltreoceano – anche a costo di mettere a rischio lo scudo di silicio di Taipei – pur di evitare i dazi trumpiani. È servito solo in parte, perché è vero che le tariffe del tycoon hanno eluso il settore dei chip, ma alla fine sono comunque andate a colpire il tessuto economico hi-tech – altamente integrato – di Taiwan.

Fame di chip

Facile intuire lo stato d’animo di Mr. Lai. Il governo taiwanese si è detto sgomento e ha definito “irragionevole” la decisione di Trump. Il motivo è semplice: Taipei si sente economicamente colpita e, di conseguenza, isolata. A differenza di altri Paesi asiatici, infatti, l’isola non ha la possibilità di avvicinarsi alla Cina in maniera tattica, né tanto meno può pensare di sbandierare i rapporti con Pechino come strumento di leva negoziale con gli Usa. La Corea del Sud e il Giappone possono farlo: Taipei, tanto più se al governo c’è l’indipendentista Lai, no. Ecco spiegato il rebus taiwanese, che si scontra con la fame di chip degli Stati Uniti.

Washington vuole che Tsmc, l’azienda taiwanese responsabile della produzione dei semiconduttori più avanzati al mondo, produca i suoi jolly in territorio statunitense. 100 miliardi non bastano: Trump vuole letteralmente ricostruire l’intera filiera Usa dei chip perché è convinto che Taiwan abbia “rubato” questo asset strategico agli Stati Uniti.

Peccato che i semiconduttori, per Taipei, rappresentino sia una garanzia da ogni fantomatica invasione cinese, sia una fetta rilevante del Pil. Le società dell’isola controllano il 60% della quota globale di fabbricazione e assemblaggio di chip, con la sola Tsmc che supera il 50% per quelli normali e il 90% per i più avanzati. Tsmc, insieme a Samsung (Corea del Sud), è l’unica azienda che può sfornare chip inferiori ai 7 nanometri: i migliori sulla piazza.

Cosa vogliono gli Stati Uniti

Si da il caso che le aziende taiwanesi abbiano speso decenni e miliardi di dollari per creare una rete di fabbriche in grado di dominare il complesso processo di incisione di minuscoli circuiti su pezzi di silicio, e che tutto questo rappresenti il 15% del Pil di Taipei. Non solo: anche se i dazi non toccano i semiconduttori, i chip di Taiwan sono onnipresenti nell’economia dell’isola. In termini banali, se le vendite di elettronica di consumo e server AI dovessero calare per colpa delle tariffe, anche i ricavi e i profitti del comparto semiconduttori virerebbero verso il basso.

In ogni caso, come detto, Trump non si accontenterebbe soltanto di un aumento degli investimenti dei player taiwanesi di chip negli Usa. Washington chiede ben altro: punta espressamente al trasferimento tecnologico che terrorizza Taipei e che farebbe perdere all’isola, in un colpo solo, vantaggi strategici e scudo di silicio.

Nel frattempo si vocifera della possibilità di assistere ad una fusione tra la statunitense GlobalFoundries e United Microelectronics Corp (Umc), secondo produttore di semiconduttori di Taiwan, nonché della creazione di una joint venture tra Tsmc e Intel, con la prima che deterrebbe il 20% della nuova società. Taipei trattiene il fiato…