Nessun distintivo ufficiale. Eppure, questi uomini costituiscono la punta avanzata di una strategia globale, orchestrata dal Partito comunista cinese
Giuseppe Gagliano 5 Maggio 2025 insideoverlettura2’
Non hanno cannoni, né missili. Nessun distintivo ufficiale. Eppure, questi uomini costituiscono la punta avanzata di una strategia globale, attentamente orchestrata dal Partito comunista cinese. Sono pescatori, o meglio, miliziani civili camuffati, agenti inconsapevoli (o addestrati) di una guerra di lunga durata: la conquista silenziosa degli oceani.
Secondo il rapporto “China’s Fishermen Spies: Intelligence Specialists in the Maritime Militia” del China Maritime Report, la Cina ha costruito negli ultimi dieci anni un’armata parallela, non convenzionale e non tracciabile, per colmare ogni lacuna dei radar e dei satelliti. Non sono militari, ma agiscono come tali. Non dichiarano guerra, ma raccolgono informazioni, ostacolano, occupano spazi.
Il Partito comanda, i mari si piegano
Ogni porto cinese, ogni villaggio costiero, ha oggi una rete di informatori civili. Pescherecci dotati di sistemi di comunicazione avanzati pattugliano le acque contese nel Mar Cinese Meridionale, nei pressi delle Spratly e delle Paracel, ma anche ben oltre. Gli uomini a bordo ricevono formazione tecnica e direttive precise: osservare, localizzare, riferire. Senza provocare, senza colpire.
Questa rete, capillare e resiliente, è la risposta cinese alla supremazia navale statunitense e alle alleanze indo-pacifiche. Mentre Washington investe in portaerei e sottomarini nucleari, Pechino punta sull’asimmetria: la guerra grigia, quella che si muove tra la legalità internazionale e la provocazione mirata.
La Cina non cerca la superiorità tecnica. Punta alla saturazione. Migliaia di imbarcazioni, decine di migliaia di occhi e orecchie distribuiti lungo le rotte marittime vitali. Ogni “innocente” peschereccio può diventare un nodo di una rete globale di sorveglianza e pressione. Una presenza tanto discreta quanto efficace. Che fare, infatti, contro un civile che segnala la posizione delle vostre navi militari? Bombardarlo? Denunciarlo? Ignorarlo? Nessuna risposta è soddisfacente, tutte sono perdenti.
Dalla Cina alle Seychelles: la pesca come leva geopolitica
Non è più solo questione asiatica. Il modello è esportato su scala mondiale. Oggi i pescherecci cinesi sono avvistati al largo del Senegal, dell’Ecuador, delle Seychelles. Dietro la facciata commerciale, si cela una proiezione marittima coordinata con la politica della Via della Seta, i prestiti cinesi ai porti africani, la presenza diplomatica in America Latina.
È la fase marittima della globalizzazione cinese: invisibile, non convenzionale, difficilmente contrastabile. Pechino non invade, non colonizza: occupa e osserva.
Sun Tzu scriveva: “La suprema arte della guerra è sottomettere il nemico senza combattere”. La milizia marittima cinese è la perfetta incarnazione di questo principio. Nessuna nave affondata, nessuna dichiarazione di guerra, nessuna foto satellitare compromettente. Solo una pressione costante, ubiqua, indefessa. Pechino ha compreso che controllare il mare non significa vincere battaglie navali, ma negare allo sfidante ogni libertà d’azione. Creare un ambiente ostile, incerto, controllato.
Oceani sotto sorveglianza: il futuro è già iniziato
Mentre l’Occidente si interroga su droni e missili ipersonici, la Cina ha già occupato il futuro con mezzi antichi, ma riorganizzati. La pesca, un tempo attività marginale nella geopolitica, diventa veicolo di dominio e sorveglianza. Questi “pionieri dell’egemonia silenziosa” non cercano il trionfo immediato. Lavorano nel tempo lungo. Il loro obiettivo non è il giorno dello scontro, ma la costruzione silenziosa di un dominio irreversibile.
Nel nuovo grande gioco globale, i veri marinai di guerra non portano divise, ma reti da pesca e ricevitori radio. Dietro ogni timone cinese, potrebbe nascondersi un satellite umano al servizio del Partito-Stato. E nel silenzio delle onde, si scrive forse la geopolitica del XXI secolo.