“TRITON” E RITRITO - L’OPERAZIONE VOLUTA DALL’UE PER CONTROLLARE

Categoria: Estero

IL MEDITERRANEO È DISASTRO CHE NON CONTROLLA LE COSTE E SCARICA SULLA GUARDIA COSTIERA ITALIANA TUTTE LE RESPONSABILITÀ

I mezzi di Triton non arrivano mai durante il pattugliamento nelle acque più a rischio naufragio - Le regole di ingaggio decise da Frontex, l’agenzia europea cui fa riferimento, impongono ai mezzi a disposizione (2 aerei, un elicottero, 3 pattugliatori d’altura, 4 motovedette) di navigare e volare al massimo a trenta miglia dalle coste siciliane…

Fabio Tonacci per “la Repubblica” Dago Spia , 20 APR 2015 10:22

Nel giorno della tragedia più grande, Triton si rivela per quello che è: un’illusione. È un’operazione di polizia, niente di più e niente di meno. Ed è un errore paragonarla a Mare Nostrum che aveva scopi umanitari e di salvataggio, figuriamoci considerarla — come pure è stato fatto non più tardi di 5 mesi fa, quando l’operazione voluta dal Viminale si è conclusa — la sua naturale prosecuzione. Non lo è, perché non poteva esserlo. Infatti, oggi, il tratto del Mediterraneo che va da trenta miglia a largo delle coste della Sicilia fino alla Libia, è un “mare di nessuno”.

Del naufragio di ieri spaventa il numero dei morti, oltre 900 secondo il sopravvissuto, mentre la modalità con cui è avvenuto è un triste e ben noto canovaccio. Il barcone è stato per primo avvicinato dal mercantile portoghese King Jakob inviato dal Comando della guardia costiera italiana a 60 miglia a nord di Tripoli, ben al di fuori della Sar (l’area di soccorso che le convenzioni internazionali affidano al nostro Paese).

In quel punto, i mezzi di Triton non arrivano mai durante il pattugliamento. Le regole di ingaggio decise da Frontex, l’agenzia europea cui fa riferimento, impongono ai mezzi a disposizione (2 aerei, un elicottero, 3 pattugliatori d’altura, 4 motovedette) di navigare e volare al massimo a trenta miglia dalle coste siciliane e calabresi.

O di girare intorno a Lampedusa e Pantelleria, territorio italiano. Il risultato è che tutto il peso del soccorso nel “mare di nessuno”, con le autorità libiche inesistenti e quelle di Malta che non intervengono quasi mai nemmeno nella propria Sar di competenza, è rimasto sulle spalle della Guardia Costiera italiana. I barconi lanciano l’sos, loro partono. La differenza tra la vita e la morte la fa la velocità con cui riescono ad arrivare le motovedette della capitaneria, o le navi di passaggio lì dirottate. A volte, come è successo ieri, non serve nemmeno questo.

È così dal primo gennaio scorso, quando si è chiusa Mare Nostrum. Al governo italiano è costata 114 milioni di euro, 9,5 milioni al mese, 100 euro al giorno. Ma nei 13 mesi in cui è stata attiva, le navi e le corvette impiegate hanno salvato 100.250 migranti in 558 interventi. Molti dei quali avvenuti a ridosso delle coste di Tripoli e Misurata, perché i mezzi erano autorizzati a spingersi fino lì.

«Triton è un’altra cosa — spiega il generale Antonello Iraso, del Comando Aeronavale di Pratica di Mare che coordina l’operazione — è un’attività di polizia, serve a proteggere i confini del sud Europa da narcotrafficanti, terroristi, scafisti. Per questo obiettivo funziona, e bene. Ma con l’emergenza dei flussi migratori in aumento, abbiamo dovuto convertire il 70 per cento dei nostri interventi ai salvataggi dei profughi in mare. In questi casi, il comando delle nostre imbarcazioni passa alle capitanerie di porto».

A rileggerle ora, certe dichiarazioni rilasciate quando si inaugurò Triton, c’è da pensare che sulla vera natura della missione ci sia stato un grande equivoco. Il 25 novembre il ministro dell’Interno Angelino Alfano, a Porta a Porta , dopo aver spiegato che con Triton l’Italia non avrebbe speso più un euro, diceva: «Finalmente l’Europa è scesa in mare, è un risultato senza precedenti». E pochi giorni dopo aggiungeva: «Triton gode di grande collaborazione e sta avendo risultati anche nella lotta al traffico di droga».

Vero che è Frontex a pagare i 2,9 milioni di euro al mese per il suo funzionamento, ma la metà delle motovedette è comunque fornita da Guardia di Finanza e Guardia Costiera. E l’Europa, basta vedere chi sta soccorrendo in queste ore il barcone naufragato ieri (Marina militare, Guardia costiera, mercantili, capitaneria di Malta), si tiene ben lontana da questo tratto del Mediterraneo.

Oltre all’evidenza dei fatti, lo dicono anche i numeri. Dall’inizio dell’anno sono sbarcati sulle coste italiane 23.556 migranti: erano 20.800 l’anno scorso. Una crescita del 30 per cento che apre scenari inquietanti su quello che sarà il 2015, con la “stagione delle traversate” dall’Africa appena iniziata.

Quanti sono i morti? In poco più di quattro mesi, se ne stimano almeno 1.600, quando sono stati 3.500 in tredici mesi, da ottobre 2013 a novembre 2014, sotto Mare Nostrum. «Non possiamo controllare da soli 2,5 milioni di chilometri quadrati di Mediterraneo», scriveva a dicembre il direttore esecutivo di Frontex, Gil Arias Fernandez.

Non servirà a ridurre le stragi nemmeno “Mare sicuro”, la missione lanciata a marzo dalla Marina militare: costa 40 milioni di euro all’anno ma è dedicata alla protezione delle navi commerciali e al contrasto delle possibili minacce terroristiche. Così adesso tutti puntano il dito contro Triton. La Germania, il governo italiano, il presidente del Senato Pietro Grasso che dice: «È insufficiente, dobbiamo rivedere le procedure europee d’asilo». Ma cos’era Triton, lo si sapeva già cinque mesi fa.