Davos, addosso alla Cgil ma senza nominarla

Categoria: Firme

 Il premier Mario Monti, parlando a Davos, ha detto che la riforma del lavoro

che è stata varata in Italia «non è andata avanti abbastanza» e questo «è colpa di un sindacato che ha resistito decisamente al cambiamento e non ha firmato un accordo che altri avevano firmato».

Ricordo che Henry Kissinger, il famoso ministro degli esteri Usa che aprì le relazioni con la Cina, con la famosa politica del ping-pong, promuovendo il viaggio di Richard Nixon a Pechino nel 1972, e aprendo così una nuova era per il mondo, scrisse nelle sue Memorie che era inutile parlare con i leader politici italiani perché ti investivano con frasi senza soggetto, intraducibili in un linguaggio concreto e sommerse in un dedalo di subordinate.

Va bene che quelle annotazioni, Kissinger le aveva scritte dopo aver avuto un incontro con l'allora ministro degli esteri italiano, Aldo Moro, che usava come pochi il linguaggio levantino, ma resta il fatto che il peccato d'origine è rimasto persino nel linguaggio di Mario Monti che, a Davos, ha detto che la riforma del lavoro «non è andata avanti abbastanza» quando tutti sanno che non è nemmeno partita.

E, in secondo luogo, dovendo indicare chi era che aveva impedito questa riforma, Monti ha detto che «la colpa è di un sindacato», come se si commettesse un reato a indicare che quel sindacato era la Cgil. Quest'ultima, adottando quella scelta, ha solo assunto una posizione che sarà politicamente ed economicamente criticabile ma che resta legittima.

Ma la prudenza di Monti nell'indicare per nome e cognome il sindacato che si è messo di traverso per impedire che un certa riforma del lavoro vedesse la luce, dimostra un'implicita sudditanza nei confronti di questo potente interlocutore e dei potentissimi partiti che, ai suoi diktat, non sanno sottrarsi.

Inoltre, sarebbe stato opportuno che queste affermazioni, Monti, le avesse dette mentre il suo percorso riformatore stava impigliandosi, anziché solo adesso. Mentre la riforma finiva nei pali, la denuncia delle (ripeto, legittime) pressioni contrarie della Cgil avrebbe alimentato un dibattito politico che avrebbe consentito all'opinione pubblica di capire che cosa stava bollendo in pentola e ai leader politici di assumersi le loro responsabilità.

di Pierluigi Magnaschi , Italia Oggi, 25/1